Tema 8
La foto di copertina è stata realizzata dai grafici di a.l.a.
Bea aveva aperto il PC prima di accendere la Nespresso per il caffè. Abitudine presa da qualche mese. Doveva cambiarlo, lo sapeva bene, era ormai di una lentezza esasperante. “Troppo pieno”, aveva sentenziato il tecnico, “e troppo vecchio!” In fondo bastava avviarlo prima del caffè e spegnerlo prima di andare a dormire. La sua lentezza a volte le permetteva di meglio valutare le parole, aggiustare la punteggiatura, rileggere delle righe. Nel frattempo, lui, il vecchio PC, cercava con grande calma informazioni, date, articoli. In fondo, Bea aveva tempo. Già, il tempo… era uno dei vantaggi dell’età. Niente orari, solo una volta alla settimana quando doveva correre a recuperare, a musica, la nipote più piccola. Allora Bea scattava in macchina con la velocità incosciente della sua lontana giovinezza. Passava col giallo, superava le code da destra e da sinistra, frenava insultando i ciclisti, inchiodava davanti alle strisce. Poi, recuperata la nipote, l’accompagnava a casa. Guardava il telegiornale mentre la nipote chattava con le amiche. Come sua figlia rientrava dal lavoro, Bea baciava entrambe e se ne tornava a casa sua per lasciarle alla loro intimità. Apriva con gioia la porta di quella casa piccola e bella. Il cane Lugo, un bastardo riccio e festoso, le saltava addosso per ringraziarla ogni istante di averlo salvato da un canile. Questa gratitudine lo rendeva un po’ ossessivo, ma coinvolgente. Bea e Lugo vivevano insieme ormai da dieci anni. Erano una coppia affiatata.
Ecco, finalmente il desktop si era aperto, pronto all’uso. Bea, in pigiama, con la tazza fumante a sinistra e il mouse a destra, scorreva la posta per eleminare le decine di pubblicità e ricevute di invio, in attesa di leggere, poi con calma, articoli e documenti appena salvati. Il suo passato di attivista politico le lasciava ancora strascichi di messaggi che le permettevano di restare viva e aggiornata.
Linkedin. “Qualcuno ha visitato il tuo profilo” recitava la pagina. Vuoi vedere che mi offrono un lavoro perché almeno contano sull’esperienza dell’età, si era detta Bea ridacchiando.
“Ti ha cercata Franci V. Vuoi altre informazioni?”
“Franci V.? Ma sarà lui? Proprio lui?” E i pensieri di Bea correvano sul tempo, impazziti. Senza pensare all’idiozia della domanda si era precipitata a rispondere con un: “Ma sei davvero tu?” al quale era seguito immediatamente un altrettanto assurdo: “Certo che sono io!” Che cancellava in un attimo sessanta anni di vita.
La cosa più normale era sicuramente un: “Dove sei? Neanche si fossero salutati il giorno prima e al quale era seguito un: “In montagna con nipoti ancora per due giorni” che riportava all’odore della neve fresca e dei wϋrstel delle ultime sciate in Alto Adige.
“Mi sei tornata in mente sentendo ieri Gaber alla tv… belle serate di canzoni a casa tua! E a teatro.”
“Ciao! anch’io ieri sera ho lacrimato un po’ sentendo Gaber!”
“Ciao! Ti asciugherò le lacrime ma ho il fazzoletto bagnato dalle mie… sono emozionato… ti mando il telefono sui messaggi. Mandami il tuo.”
Bea si era truccata con cura. Davanti allo specchio impietoso controllava ogni poro, ogni ruga, ogni peletto delle sopracciglia. Spalmava di siero magico la pelle, constatava soddisfatta che di rughe ne aveva poche.
“Già, ma anche se poche sempre rughe sono, e allora certo non c’erano!”
Allora. Allora era un’altra vita, un altro mondo, un altro tempo. Una storia mai nata. Erano baci rubati tra l’ascensore e il pianerottolo quando Franci l’accompagnava a casa. Erano baci nel sottoscala, erano baci nei corridoi dell’università quando pensavi che non sarebbe passato nessuno e appariva invece l’assistente di inglese. Erano baci nella macchina del padre di Franci che diventavano carezze, e abbracci, e stordimento, e strette, brividi e ormoni impazziti. E un giorno, non sapeva più né quando né dove, si erano ritrovati sdraiati su un letto in una casa vuota avvolti da uno slancio, pronti a varcare ogni limite allora concesso.
“No!” Aveva solo avuto la forza di sussurrare Bea. “Non ancora!”
“Non lo hai mai fatto?”
Franci si era paralizzato. L’aveva abbracciata e stretta e baciata. Poi si era alzato ed era scomparso.
Poco tempo dopo, Bea aveva saputo che aveva discusso la tesi ed era partito per gli Stati Uniti. Bea era partita per la Francia qualche mese più tardi. E la vita era scivolata su di loro portandoli via.
L’appuntamento era sotto casa. Così sarebbe stato più facile riconoscersi.
Franci, con pochi capelli e il sorriso dei suoi ventidue anni era sceso dall’auto con le braccia spalancate. Bea si era lanciata in quell’abbraccio coi capelli bianchi e gli occhi lucidi. Intorno al tavolino di un bar, per ore, si erano sciolti sessanta anni di vita. Matrimoni, divorzi, morti, figli, nipoti, lavoro. E poi lei, la solitudine. E il tempo. Quello che c’è stato. Quello che non c’è più. Quella notte Bea aveva pensato a Franci per un tempo infinito. Al mattino lo specchio le aveva restituito il volto di una vecchia signora con le occhiaie per l’insonnia e il cuore troppo giovane. La pelle non si era distesa alle carezze dello sguardo e dei sogni, ma solo aveva ripreso a fremere inutilmente. La serenità della sua solitudine si trasformava ora in un silenzio doloroso. Il tempo che ieri era una fortunata conquista, in quella mattina grigia era solo una condanna. Suonava il telefono. Franci V. Bea aveva cliccato sul tasto del messaggio: “Ora non posso rispondere.”
“Vorrei avere ancora un po’ di tempo” si era detta Bea “solo un po’ di tempo”.
Che bello. Parla del tempo, della vita, dell’amore… di tutti. Il passato non è passato è dentro di noi con le sue ombre ma soprattutto con le sue luci.
Molto interessante.il finale illumina tutto
Bello, finale per niente scontato e intelligente.
Bello, conclusione per niente scontata e intelligente.
Ma non finì così, Bianca; possibile che non ti ricordi, che ancora una volta ti sia arresa al tempo e tu abbia dimenticato! Diamine, dovresti ricordare quel tavolo sulla piazza, troppo esposto al vento, dove incontrasti di nuovo il Franci.
Quando lui, davanti al tuo rimpianto, al tuo silenzio doloroso, distese il braccio a indicare qualcosa alle tue spalle e: ” Ma no, ma no – disse con voce forte – ” cosa credi, che il tempo sia qualcosa che divora il vissuto; una specie di discarica dove vanno a finire i rifiuti dei giorni della vita, dove ti rilasciano tutto al più una ricevuta che chiudi nel cassetto dei ricordi? No, Bianca mia, il tempo è una cassaforte dove il vissuto viene raccolto e conservato con cura. Niente va perduto del tempo e basta trovare la chiave della cassaforte per riaverlo ancora come vita vissuta e da rivivere. Non solo come ricordo, come rimpianto”.
Fu allora, ricordi Bianca, che la sua mano nodosa tornò forte e levigata, quella mano che sapeva carezzarti così come ora carezzava il tuo viso. E le tue rughe scomparivano a quella carezza, la tua vita si assottigliava e i tuoi seni tornavano rigogliosi.
Avevi quella gonna leggera, a fiori, la gonna dei tuoi vent’anni, che il vento sollevava se non la tenevi e le scarpe chiare e le caviglie sottili e le calze a rete.
Lui rideva di te, del tuo stupore, i capelle neri e lunghi che te detestavi, la camicia aperta sul petto ampio dall’odore di uomo.
Ti voltasti, ricordi? a vedere che indicava quella casa vuota, quel letto mai usato. Vi incamminaste là, a ritrovare nel tempo quel trascorso intatto, quelle ore che vi aspettavano per viverle ancora, per viverle sempre.
Ti venne a mente, chissà perché: “Tutto va, tutto torna, curva è la strada dell’essere”. ma chi mai lo disse?
Arturo Falaschi , grazie per questa spinta a “ a ritrovare le ore che ancora aspettavano..” … “curva è la strada dell’essere “ dimmi, chi lo disse? Bianca
Lo disse lo Zarathustra di Nietzsche.