Livorno non giace su una spiaggia. Per trovare la sabbia, o meglio la rena, bisogna salire più a nord, verso altre località financo pisane: Calambrone, Tirrenia… Oppure scendere a sud, a Vada, dove la sabbia è costituita da scorie di soda di una stentorea fabbricona che fuma dalla mattina alla sera, dove invece di abbronzarti ti sbianchi. Però è bella, eh… bianca, un’acqua azzurro Tiffany che si stempera quasi nello smeraldo. Oddìo, smeraldo opaco, torbo, sintetico, ma che da lontano ricorderebbe i Caraibi, dicono. Vabbè, lasciamo perdere.
Dicevamo, Livorno non giace sulla rena, ma si distende sugli scogli.
Eh… gente, si fa presto a dire mare. Lo scoglio è tutta un’altra cosa, non ammette vie di mezzo, per questo ci teniamo un fottìo a specificare che Livorno è rocciosa, calcarea, granitica. E sullo scoglio, accanto allo scoglio, vicino allo scoglio, succedono grandi cose.
Per esempio lo scoglio genera pesci saporiti: scorfani, capponi, gallinelle, tràcine, ghiozzi, e anche iridescenti triglie.
Son tutte creature con le lische, ma il vero pesce infine è proprio quello lì con la lisca.
E se Esopo diceva che Il vero amico è colui che toglie le pietre e le spine dalla nostra vita, a noi livornesi piace avere a che farci, con le pietre e le lische nostre – anzi, guai a chi ce le tocca.
Personalmente, ovunque vada a mangiare del pesce, questo non deve toccarlo nessuno fuor che me. Lo voglio intero, pronto per una battaglia tra me e lui, e con la testa che, staccata dalla lisca, promette e mantiene la polpa più saporita come in uno scrigno. So bene che bisogna essere più che abili, nati tra gatti di porto, per questo riconosco che non sia cosa da tutti non rimanerci strozzati, alla fine del desinare. Chi nasce sui monti di questi problemi non ne ha quando mangia, semmai corre il rischio di strinarsi il palato con puzzolenti formaggi fusi e polente bollenti non ancora rapprese.
Orbene, via le paturnie e torniamo ai pesci da gustare: se vogliamo fare delle buone triglie alla livornese, ad esempio, esse devono essere di scoglio. Belle, di grandezza media, colorate di una varietà di rosso brillante che si stempera nell’arancio, nel rosa, nel giallo, che son colori dei nostri tramonti. Una meraviglia. Polpa soda, profumata di mare fresco (inspirate). Bene, per fare le triglie alla livornese, diciamo per un 4 persone, vi occorreranno da otto a dodici esemplari, secondo la loro grandezza, del tipo di cui ho detto prima. Secondo Pellegrino Artusi (chapeau, ma dopo tutto era di Forlimpopoli, sicché…) gli ingredienti sono:
triglie, prezzemolo, aglio, sedano, pomodori, olio buono, sale, pepe.
“Fate un battutino con aglio, prezzemolo e un pezzo di sedano – dice lui – mettetelo al fuoco con olio a buona misura e quando l’aglio avrà preso colore, unitevi pomodori a pezzi e condite con sale e pepe.
Lasciate che i pomodori cuociano bene, rimestateli spesso e poi passatene il sugo. In questo sugo collocate le triglie e cuocetele. Se sono piccole non hanno bisogno d’esser voltate e se il vaso dove hanno bollito distese non è abbastanza decente, prendetele su a una a una per non romperle e collocatele in un vassoio. Poco prima di levarle dal fuoco fioriteleleggermente di prezzemolo tritato.”
Ora, togliendo il sedano e sostituendolo con un bel peperoncino a pezzetti, suvvia ecco, son le nostre, altro che Forlimpopoli!
Domani le faccio.
La foto di copertina è di Luciana Russo.
La foto delle triglie ci è stata fornita dall’autrice dell’articolo.
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