“… Molte volte la vita è simile a una grande violenza. Tutte le ombre, anche le più lontane, stanno sopra a noi; e la nostra anima diviene silenziosa per le orme del meriggio che cominciano a scintillare. E tutte le cose vengono incontro a noi, come una marea…”
Ucciso due volte dalle pandemie.
Una sorta di maledizione sembra aver segnato la vita di Federigo Tozzi, considerato uno dei maggiori scrittori italiani degli inizi del Novecento, morto il 21 marzo 1920 contagiato dalla “spagnola”. Cento anni dopo un’altra epidemia, il Covid-19, ha cancellato le celebrazioni che Siena, la sua odiata-amata città natale, si apprestava finalmente a tributargli. Un riconoscimento postumo che gli era fortemente dovuto.
La vita
Federigo Tozzi nacque a Siena il 1° gennaio del 1883.
Il padre era autoritario e violento, la madre morì quando lui aveva 12 anni lasciandolo in balia dell’uomo che gestiva una trattoria e due poderi e pretendeva che il figlio seguisse la sua strada. Federigo, che odiava queste attività quanto suo padre disprezzava il suo amore per i libri, si formò da autodidatta sui classici anche se una malattia agli occhi lo costrinse al buio per due anni causandogli turbe psichiche. Ne uscì grazie all’incontro con la futura moglie, Emma Palagi.
Nel 1907 dopo un impiego alle ferrovie, Federigo tornò a Siena alla morte del padre, liquidò la trattoria, si trasferì al podere Castagneto e intensificò la produzione letteraria. Sette anni dopo, sentendosi prigioniero del limitato orizzonte senese, andò a vivere a Roma dove entrò nei circoli culturali e divenne amico di Luigi Pirandello che lo aiutò a pubblicare i primi libri. Morì, contagiato dalla “spagnola”, a soli 37 anni. Molte delle sue opere furono pubblicate postume dal figlio Glauco; la nipote Silvia ne custodisce tuttora le memorie.
Federigo Tozzi è stato molto frequentato dalla critica, meno dal grande pubblico dei lettori.
Prima degli anni sessanta le sue opere erano genericamente ricondotte nell’ambito del verismo verghiano, del quale mantenne la struttura del romanzo, ma con una tecnica narrativa che trae spunto dal “flusso di coscienza” sperimentato da Joyce.
Era un uomo strano Federigo, fin da giovane, introverso, ribelle, come si definisce nella raccolta di epistole “Novale”.
“… Io sono di temperamento nervosissimo e eccitabile fino all’eccesso…capace di avere illusioni e allucinazioni…”
Tozzi scrittore
La sua grandezza di scrittore è dovuta alla trilogia di romanzi Con gli occhi chiusi, Il Podere e Tre croci, opere scritte nei sei anni passati al podere Castagneto e che hanno un risvolto autobiografico, come anche “Ricordi di un impiegato”. Tozzi rovescia tutto il suo malessere interiore per il mondo che lo circonda e per il modo di porsi di fronte ad esso nella caratterizzazione dei personaggi dei suoi romanzi.
La sua natura complicata, torbida spesso violenta, è la natura di Pietro Rosi, protagonista di Con gli occhi chiusi, di Remigio Selmi de Il Podere.
Nasce con Tozzi la figura “dell’inetto”, inadatto a stare al mondo, incapace anche solo a provare a modificare la realtà in cui vive, una realtà che non viene descritta dall’autore, in maniera oggettiva, ma che viene svelata mostrando, sulle facce dei suoi personaggi, l’angoscia dettata dall’inconscio.
“… Anche gli avvocati, con noi poveri, si comportano come tutti gli altri. Questo non ci dà né meno da sedere!…”
È per il suo coinvolgimento nella narrazione che fu accusato di eccessivo autobiografismo. La critica attuale lo inserisce nel realismo modernista, Tozzi si differenzia da Verga che pur raccontando le “miserie” dei suoi personaggi, riesce a mantenere un certo distacco. Si differenzia anche da Pirandello e da Svevo con i quali condivide la funzione storica di rifondare il romanzo, ma loro concedono, ai personaggi delle loro storie, il riscatto nell’ironia, lui no. Come afferma R. Luperini, “Tozzi è incapace di superiorità nei confronti dei suoi personaggi e senza superiorità non si danno né ironia né leggerezza.”
Il punto di vista narrativo calato in una realtà deformata, quasi grottesca, evocata dal profondo della psicologia intima, da una condizione di dolore che l’autore vive realmente e la condivisione di un destino comune nell’avere avuto un padre generatore di malessere esistenziale, lo avvicina a Kafka.
Tozzi, incompreso da un padre insensibile alle sue aspirazioni, incompreso da un pubblico incapace di identificarsi nei suoi personaggi, di capire la violenza dei contenuti che in alcune novelle (Bestie, 1917) raggiunge un “espressionismo letterario” che lo avvicina alle correnti artistiche europee degli inizi del Novecento. Incompreso da una critica che inizialmente lo collocava in un’area naturalistica e regionalistica, è stato l’inconsapevole pioniere di una nuova era della letteratura, ha anticipato quello che verrà chiamato lo “sgomento esistenziale”, il male di vivere in risposta al positivismo.
Siena fa da sfondo ai suoi personaggi, ma non è solo l’esterno dove ambientare le storie, è una rielaborazione interiore di ciò che ha rappresentato per lui, delle poche opportunità che gli ha offerto questa città immobile nelle sue tradizioni.
Lo stato d’animo come chiave di lettura della città, Tozzi riversa tutta l’inquietudine che ha provato nel viverci.
Siena non lo aveva mai capito, come dice la nipote Silvia, lo considerava “un personaggio fuori dai ranghi” e per lui era opprimente come una prigione.
“La mia anima, per aver dovuto vivere a Siena, sarà triste per sempre…” . Un pensiero del quale non riuscì mai a liberarsi, neanche a contatto con altre città come Roma nella quale vedrà sempre, come allucinazioni, i riflessi della sua città.
Nel romanzo Con gli occhi chiusi Siena è descritta secondo lo stato emotivo del protagonista. Pietro dice: “… Tutte le case sembravano troppo fitte…i tetti delle tre vie, che s’annodavano…scendevano, pendendo tutti da una parte; come se le case non potessero stare dritte…Cerchi e linee contorte di case …e una donna, ferma, vi sembrava rinchiusa…” Strade che si dirigono in tutti i sensi…come se non sapessero dove andare…”
La trasformazione degli elementi architettonici della città attraverso una visione squilibrata, emotiva, irrazionale della realtà, “ad alto coefficiente pittorico”, fa pensare alle esperienze di alcuni artisti contemporanei di area cubista come Braque, Picasso, Léger…
Tozzi, nonostante tutto riuscì a guardare molto oltre a questa cittadina provinciale, abbarbicata al suo medioevo, guadagnandosi anche se in ritardo e forse ancora non del tutto (se il “destino crudele” non ci avesse messo lo zampino questa ricorrenza gli avrebbe riservato grandi cose…), un posto importante nel panorama letterario italiano… e non solo.
Sabrina Carletti