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Qui fuori di qui e all’estero

Matteo mi pareva simpatico. È una di quelle persone che hanno avuto la fortuna di nascere quando a studiare erano ancora pochi. Ai suoi tempi coloro che facevano carriera senza titolo di studio erano in diversi, ma erano ancora pochi gli onesti d’intelletto che mostravano consapevolezza e confessavano di avere avuto l’occasione, quel momento fortunato preso al volo. Però Matteo guarda male la moglie e le leva la parola di bocca, perché lui è più bravo e le cose le dice meglio, ha esperienza. È un omone con una pancia da orco e una voce baritonale e nasale, ha una paura atroce di farsi il tampone e lo terrorizza la vista dei topini neri tettaioli – Rattus Rattus per coloro che con rimpianto hanno letto e studiato. Rivela errori osceni quando posta le sue farneticanti opinioni sui social e spesso viene bannato, ma allo stesso tempo ovviamente, poiché non ha consapevolezza di cosa sia il rispetto, l’educazione, la grammatica e l’ortografia, disdegna chi ha perso tempo sui libri (“Tanto professori e ricercatori fanno la fame” cit.), perché è noto come la cultura non riempia la pancia, aggiunge. Così resta un boomer, come tanti del resto, ma lui sembra un dodicenne cui la madre scellerata abbia dato la sua Yaris per andare a scuola.

Un giorno, mangiando di gusto due etti di torta e pepe alle “4 Cantonate”, con modestia ricercata sul foglio giallo pergamenato, mi confidò con bonomia e magnanimità che suo nipote aveva un collega di colore che stimava, con cui aveva perfino stretto amicizia. “Ma tu vedessi bellino: lo tratta come se fosse uno normale”. Ora, tenevo troppo alla mia spuma bionda nel bicchiere, e inoltre a tale udire il boccone mi stava strozzando più di una corda insaponata, così calcolai se valesse la pena sprecarla e scelsi di berla, la spuma, prima di gettargliela su quella calda e fragrante prelibatezza di farina di ceci, liberandomi infine il cannarozzo.  Buttare giù o buttare fuori? Bevvi senza sprechi inutili, e gli andò bene.

Finisco: più avanti, vittima forse del rigurgito di un innocente frase multilingue letta chissà dove, forse su un foglietto di Baci di cioccolata di Perugia e interpretata a modo suo, Matteo si scaglia contro gli impiegati di banca e comunque i laureati, in primis quelli in lingue che le insegnano pure, così.  Purtuttavia, ci tiene a dire che resta umile quando, per le scale del suo palazzo, i condòmini lo salutano chiamandolo per nome, poiché non pretende inchini né di essere chiamato “capo”, come facevano gli operai del suo reparto.

Insomma, Matteo m’ha decisamente rotto e no, ho deciso che la torta in compagnia sua e della sua silente signora Albertina non la mangerò più, visto l’ultimo fortore di stomaco che mi sono presa l’altra volta a sentire quelle minchiate.

Qui, ma anche fuori di qui e all’estero.

Foto della torta di ceci: Credits Commons Wikipedia

Patrizia Salutij

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