#PABlog Tema 10: Realtà e apparenza
In copertina, Luigi Pirandello è stato disegnato da Cristina Quartarone.
L’immagine delle pergamena è opera del reparto grafico di a.l.a.
“Un personaggio, signore, può sempre domandare ad un uomo chi è. Perché
un personaggio ha sempre una vita sua…per cui è sempre qualcuno. Mentre un uomo…può non essere nessuno”.
(Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore)
Il modo in cui Freud delinea l’apparato psichico ispira, insieme a tanti altri aspetti della cultura del primo Novecento, come la filosofia di Bergson, le opere di Luigi Pirandello, che distingue la Vita dalla Forma e la Persona dal Personaggio.
Come l’autore stesso chiarisce, nel saggio L’umorismo (1908), la Vita è quel flusso magmatico di sensazioni che scorre dentro di noi, che ci vorrebbe travolgere, portare via con sé, farci provare ebbrezza e brividi. Essa urge in noi con l’irruenza primordiale dell’Es freudiano e la libertà dei sogni.
Attiene alla Persona e “ama nascondersi, come l’Essere di Eraclìto.
La Forma è, invece, il nostro Apparire, il nostro aspetto fisico, il nome, a cui si lega una posizione sociale, un ruolo, un preciso lavoro, un determinato comportamento e attiene al Personaggio che noi ogni giorno interpretiamo, come attori su una scena.
Questo richiama alla nostra mente l’Io di Freud, che si mostra agli altri dopo aver mediato, guidato dalla ragione, le leggi, le rigide regole e le imposizioni del Super-io con gli istinti dell’Es.
I personaggi delle opere di Pirandello si sentono costretti, prigionieri, soffocati, nella Forma che è loro abituale e che loro stessi, con il loro comportamento e le loro scelte, hanno contribuito a creare. Cercano di evadere da essa in mille modi, tentano di gettarsi nella Vita, un’operazione non semplice che comporta sofferenze, fallimenti o soluzioni paradossali.
Belluca, protagonista della novella Il treno ha fischiato, è un oscuro contabile oppresso da una vita familiare e lavorativa grama e difficile, al limite della sopportabilità. Un giorno ode il fischio del treno e comincia ad immaginare viaggi in paesi lontani, paesaggi esotici, nuove emozioni e, per questo, viene subito portato al manicomio, dal quale esce poco dopo, per essere ricondotto all’esistenza di prima, che però non sarà più la stessa, perché, al fischio del treno, potrà sempre abbandonarsi alle sue fantasticherie, uscendo dalla sua Forma e gettandosi nella Vita.
«Ora è più facile, – dice – perché il treno ha fischiato».
Nella novella La carriola, uno stimato avvocato, nel suo studio, nei momenti in cui non ci sono clienti e nessuno può vederlo, si concede di prendere la sua anziana cagnetta per le zampe posteriori e di farle fare la carriola, procedendo con le zampe anteriori. Un breve tuffo nella Vita, un attimo di respiro.
Più articolata e paradossale la vicenda narrata nel romanzo Il fu Mattia Pascal. Qui il protagonista, Mattia Pascal, fuggito a Montecarlo dopo aver abbandonato una vita da inetto, tormentata dalla suocera e dalla moglie, vince al casinò una cospicua somma di denaro e, sul treno che lo riporta a casa, legge sul giornale che nel suo podere hanno trovato un giovane morto annegato che era stato identificato in lui.
Decide allora di sparire, andando lontano e cambiando il suo nome in Adriano Meis. Sostanzialmente esce dal suo “Personaggio”, per entrare in un altro. Ma l’impresa si rivela fallimentare, poiché nella nuova vita non ha documenti, quindi non può sposare Adriana, la donna che ama, non può denunciare un furto subìto, né sfidare a duello un pittore che lo aveva schiaffeggiato.
Stanco di vivere senza identità e senza passato, Mattia simula il suicidio di Adriano Meis e torna al suo paese.
Ma qui trova che la moglie si è risposata e ha avuto una bambina e si accorge che per lui non c’è più posto. Allora esce da quella casa ma resta nel suo paese e ogni tanto va a portare fiori sulla sua tomba e a chi gli chiede chi sia risponde di essere “Il fu Mattia Pascal”. L’unica Forma in cui può ancora apparire.
Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila, comincia a soffrire il giorno in cui la moglie gli fa notare che il suo naso pende leggermente a destra. Lui, fino a quel momento, aveva vissuto nella convinzione che il suo naso fosse diritto e questo lo sconvolge perché lo fa riflettere sul fatto che lui si sente Uno, ma gli altri, compresa la moglie, lo vedono in tanti modi diversi (Centomila) da come lui si vede, al punto che decide di ribellarsi al suo Personaggio: quella di figlio scioperato di un padre usuraio, ritenuto, invece, un banchiere di successo.
Vitangelo propone di liquidare la banca, la moglie, e i soci della banca lo ritengono pazzo e lo vogliono fare interdire ma lui procede e devolve i propri beni in opere di carità. Poi fa costruire un ospizio per i poveri in cui si riserva di poter abitare e, privo ormai della sua precedente Forma, vive a contatto con la natura, sentendosi ogni giorno un elemento diverso di essa: albero, foglia, fiore, vento, animale… Sostanzialmente la pazzia è l’unico modo per essere finalmente Nessuno e sentirsi felice. Passando in continuazione da una Forma all’altra, si vivono intensi attimi di Vita e si ha l’impressione della libertà.
In una delle più belle opere teatrali di Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, sei Personaggi creati da un autore ma poi da lui rifiutati, si presentano in un teatro dove si svolgono le prove de “Il gioco delle parti” di Pirandello. Essi hanno l’aspetto di Persone, ma sono solo Forme, Personaggi, in cui scorre e urge soltanto quella parte di vita che è stata loro data dal loro creatore. Essi chiedono al capocomico di poter “vivere” su quel palcoscenico la loro vicenda.
In un primo momento gli attori della compagnia cercano di rappresentare il loro dramma, seguendo le loro indicazioni, ma essi deridono e criticano gli interpreti, li trovano goffi, diversi da come loro sono, finché il capocomico permette loro di sostituirsi agli attori (“teatro nel teatro”).
Qui non siamo più in presenza di una recita ma di quella che per i personaggi è la memoria di una dolorosissima realtà. Un Padre, dopo aver avuto un Figlio, lascia che la Madre se ne vada con l’amante. Da questa nuova unione sono nati la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Diversi anni dopo, la Figliastra, due mesi dopo la morte di suo padre, il compagno della Madre, costretta dalla tenutaria di una casa di appuntamenti a prostituirsi, sta per avere un rapporto con il Padre, ma la Madre lo impedisce, irrompendo sulla scena e gridando. Da quel momento la famiglia si ricompone e tornano a vivere tutti insieme.
Ma le tensioni sono altissime. Il Figlio si sente spodestato dai figli della Madre, lui che è il solo legittimo, si rifiuta di partecipare alla vita della famiglia, minaccia di andarsene; la Figliastra rinfaccia al Padre le sue debolezze, alludendo spesso al loro incontro, interrotto dalla Madre. La tesa vicenda dei personaggi si conclude tragicamente con la morte della Bambina che affoga in una vasca in cui era andata a giocare e quella del Giovinetto che, avrebbe dovuto sorvegliarla e, a quello spettacolo, si uccide con una pistola. Il colpo che risuona squarcia il silenzio e mentre il primo attore il capocomico e altri attori gridano “Finzione! finzione!”, il Padre urla:”Ma che finzione! Realtà, signori, realtà!”.
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