Devo dire che Marco Rodi sa scegliere bene i titoli dei suoi romanzi; sono oscuri, intriganti e stimolanti. Costituiscono la chiave di lettura di racconti che peraltro alla lettura offrono diversi livelli, come la denuncia degli inganni e della corruzione del mondo della medicina in cui vive il protagonista di quest’ultima storia, succube di una famiglia d’origine che lo ha “programmato, ammaestrato, ammansito” e tollerante nei confronti di una moglie che lo tradisce spudoratamente, fotocopia mal riuscita della madre, che sceglie per lui anche nella vita privata.
Lui soggiace, segue, si allinea per sfiducia e pessimismo, pur nella consapevolezza di essere fuori posto in un ambiente che non sente suo e che gli crea disagio, qualche volta schifo.
Nonostante ciò, Mario Rossi, così si chiama il protagonista (noto che ha le stesse iniziali dell’autore), diventa primario e direttore di un centro di ricerche della capitale, non senza intrighi e conoscenze della famiglia, perché è così che fanno tutti. Inaspettatamente è proprio il suo lavoro a diventare il suo rifugio, il luogo “pulito” dove può avvalersi della collaborazione di un’amica capace, onesta e fidata. Insieme, i due scoprono una molecola che guarisce una gravissima malattia, attualmente curata ma non risolta da farmaci molto costosi. Per sottrarla alle manipolazioni delle case farmaceutiche, decidono di comune accordo di tenerla nascosta e di comunicarne l’esistenza soltanto a un pubblico internazionale, in occasione di un congresso che si terrà in Svizzera di lì a qualche giorno.
L’amica parte in aereo con il resto dello staff, mentre lui decide di partire in auto, da solo.
“Una scelta irrazionale, certo, dunque inusuale per lui, o forse no, perché consapevole di quello che stava progettando e del terremoto che avrebbe causato, aveva paura. Se qualcuno avesse saputo…”
Il protagonista è quindi inconsapevole di intraprende un viaggio iniziatico a ritroso nel tempo, alla scoperta del sé, che gli consentirà di diventare padrone della propria vita, ma solo attraverso una serie di scelte e fatti apparentemente casuali che lo porteranno sull’orlo del baratro, e che inaspettatamente gli regaleranno una rinascita.
Solo alla fine del viaggio, quando gradualmente avrà raggiunto la consapevolezza e avrà compreso il valore catartico di ciò che è accaduto, solo allora, e non prima, potrà iniziare una nuova vita, ricominciando da valori e sentimenti che aveva conosciuto nell’infanzia e poi dimenticati, o meglio, creduto di dimenticare.
Ecco allora la sorpresa… ma non voglio rovinare il gusto di leggere il romanzo e mi fermo qui.
Aggiungo solo che certe volte il protagonista può apparire come un burattino nelle mani di un burattinaio che fa accadere le cose, poco importa che si chiami Fato, Volontà di Dio, Sincronicità o altro, ma non è così, l’uomo può prendere o lasciare, può svegliarsi dal torpore dell’abitudine e della comodità, può uscire dai circoli viziosi di negatività e cinismo in cui la vita pare relegarlo e può decidere di cercare il bello, il bene e il vero.
Tre qualità che Mario Rossi aveva individuato già da bambino in montagna dove trascorreva l’estate, quando “all’improvviso e per la prima volta in vita sua, ebbe la percezione netta che tra quei monti… risiedesse la felicità e che questa si percepisse solo in presenza del bello, del bene e del vero… Così fu certo che qualunque luogo o circostanza che avesse contemporaneamente in sé quei tre elementi avrebbe potuto far germogliare il seme della felicità”.
Ringrazio l’autore per il messaggio di speranza che ha lanciato con questo romanzo, invitando il lettore a non soccombere nel mare magnum delle lordure che, giorno dopo giorno, lo corrodono dentro come un acido solforico invisibile, trasformandolo in un individuo arrabbiato, sfiduciato, brontolone, diffidente e pessimista, perché c’è la possibilità di uscire da questo mare, tornando indietro al punto in cui si era lasciata la giusta direzione, fino a ritrovare i tre elementi che uniti insieme in un luogo o in una circostanza possono far germogliare il seme della felicità… che forse è solo il seguire la piega naturale delle cose.
Complimenti, Rodi
Marilena Regoli