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L’invasione degli ultra-anglicismi

#PABlog Tema 7: Le parole straniere nella lingua italiana: ricchezza o impoverimento?

L’immagine di copertina è una sequenza tratta dal film di Don Siegel L’invasione degli ultracorpi. (I trailer dei film anteriori al 1964 sono di pubblico dominio)

Cammino: dal gallico; abbandonare: dall’antico francese; guatare: dal francone; smarrire, brama, gramo, feltro, guida: dal germanico; bugiardo, malvagio: dal provenzale1

Tutti avranno riconosciuto in questo breve elenco vocaboli presenti nel I canto della Commedia dantesca, tutti di origine straniera, come rivela la loro etimologia. Dunque, Dante ha impoverito il volgare italiano utilizzando parole di altre lingue? No, anzi, lo ha arricchito, creando il primo ampio vocabolario che da allora fu a disposizione degli intellettuali che volessero rappresentare tutte le sfumature del pensiero non solo in latino ma anche in italiano.
Ma… Dante non aveva a disposizione sinonimi italiani altrettanto appropriati alle sue necessità espressive. Quindi, oltre che attingere alla lingua madre, il latino, dotto e parlato, non esitò giustamente a trasferire in italiano, adattandone, come era consueto nelle età antiche, fonologia e morfologia alla lingua di arrivo, parole e parole provenienti da altre lingue, romanze o germaniche o arabe, dovunque il pensiero umano avesse forgiato i vocaboli atti ad esprimere i concetti che intendeva comunicare, in barba ai futuri puristi che avrebbero storto il naso per la ecletticità del lessico dantesco.
In questo sta, a mio avviso, il discrimine tra legittimità o arbitrarietà di far uso di parole straniere: laddove la lingua del parlante (o scrivente) possiede la forma capace di riprodurre con precisione un concetto non c’è motivo di adottare il corrispettivo di diversa provenienza linguistica, ma se ne è priva è più che lecito, anzi doveroso, aggiornare il vocabolario del proprio paese per potersi riferire a nuove idee o oggetti che altrove sono nati ma che hanno da diventare patrimonio di tutti.

La riflessione da fare in questi casi è se mai un’altra: perché si ricorre a prestiti linguistici?
Se il prestito è immotivato, non si può negare che la causa stia nell’ostentazione del parlante che ritiene evidentemente più prestigioso o ricercato ricorrere a espressioni straniere che, non si sa perché, dovrebbero servire a dimostrare maggior competenza in materia. Esempi? A bizzeffe. Nella pubblicità, reclamizzare un profumo in francese sembra voler alludere alla tradizione dei nasi d’oltralpe o vantare le prestazioni di una fuoriserie in inglese vorrebbe forse suggerire l’alta tecnologia del mondo anglosassone. Ancora più grave è l’uso, anzi l’abuso, degli anglicismi (perché è l’inglese che soprattutto sta pervadendo l’italiano) nei programmi di informazione che, anziché informare, discriminano chi non ha dimestichezza con questa lingua e irritano chi ne sa trovare immediatamente i corrispettivi italiani. Perché parlare di audience e non di ascolti? di brand e non di marchio? di convention e non di convegno? di fashion e non di moda? di flop e non di insuccesso? di workshop e non di laboratorio o gruppo di lavoro? (NB in questo caso l’inglese è meno preciso e indica con un solo nome due attività che l’italiano distingue). E che questo ossequio agli anglicismi sia frutto di snobismo è la migliore delle ipotesi. Perché me ne passa per la mente un’altra meno nobile: che l’inglese usato quando non servirebbe abbia la stessa funzione del latinorum2 di manzoniana memoria: intimidire e confondere il destinatario impedendogli di replicare ad armi pari.
Se il prestito, invece, è necessario per la povertà lessicale della lingua madre, il problema è assai più grave: significa che le nuove idee o i nuovi strumenti nascono in civiltà più avanzate che creano anche i neologismi per esprimerli, per cui coloro che si limitano a subire le innovazioni altrui non possono far altro che accoglierle insieme ai loro significanti4. Un solo esempio: in passato, quando l’eccellenza in ambito musicale era italiana, in tutto il mondo occidentale si affermarono le indicazioni di tempo come allegro, andante, adagio che tuttora persistono; oggi, è l’italiano ad avere importato dall’inglese il lessico dell’informatica ormai entrato nel nostro vocabolario come computer, mouse, account, byte, termini coniati nell’ambito culturale e linguistico che li ha prodotti. In questo caso non ci si deve lamentare della progressiva anglicizzazione della nostra lingua perché è naturale e inevitabile attingere alla fonte, terminologia compresa.
Si potrebbe dire che alcune parole potrebbero essere tradotte: desktop in scrivania, download in trasferimento, hard disk in disco rigido… ma si perderebbe in chiarezza e univocità. Per non dire degli antieconomici giri di parole necessari per rendere network (insieme di sistemi di elaborazione per lo scambio di dati) o login (operazioni per accedere al proprio account) o degli effetti comici che avrebbe “parola d’ordine” (roba da servizi segreti!) per password. In casi come questo lamentiamoci del nostro ritardo nell’ambito della ricerca, piuttosto che dell’invasione di termini stranieri.
Del resto, il travaso da una lingua all’altra è fenomeno sempre esistito: chi ha maggiori conoscenze le esporta nei paesi con cui entra in contatto, il cui patrimonio linguistico si arricchisce insieme a quello culturale. Ergersi contro questo processo naturale in nome di una presunta purezza linguistica è antistorico ma lasciarsi sommergere da inutili duplicati in altre lingue mi pare un’abdicazione inaccettabile: salviamo l’italiano, che è il prodotto millenario della nostra evoluzione culturale!

1 – Le etimologie sono tratte da Il nuovo etimologico, DELI – Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di Manlio Cortellazzo e Paolo Zolli, Zanichelli, Bologna, 1999
2 – A. Manzoni, I promessi sposi, cap. II. Quando don Abbondio, per nascondere le vere ragioni del divieto di matrimonio, cerca di confonderlo con un elenco di termini latini, Renzo si risente a buon diritto: “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”

Anna Maria Citi

Pubblicato inBlogPronti attenti blog

Un commento

  1. Giuliana Lombardi Giuliana Lombardi

    Complimenti Anna il tuo articolo mi è piaciuto molto!!! Interessante esaustivo al tempo stesso brava

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