Sottotitolo: è migliore un buon film oppure un buon libro?
#PABlog Tema 6: Un libro da leggere assolutamente
“Questa è la vita che voglio vivere”. Così decisi, quando appena dodicenne, chiusi la copertina rigida de Il Buio oltre la siepe, di Harper Lee (1960) il primo libro che ho letto da ragazzina.
In realtà prima vidi il film (1962) tratto dall’omonimo romanzo; lo vidi in televisione, quando gli apparecchi funzionavano grazie a valvole che si allentavano spesso e se non reagivano a colpi che diventavano veri e propri pugni, costringevano all’intervento del Tecnico che poteva essere contattato telefonicamente, ma era meglio andare di persona per raccomandarsi di intervenire prima possibile, specialmente se correva l’anno dei mondiali di calcio che venivano trasmessi in mondovisione. I vecchi televisori erano costituiti da involucri ingombranti la cui profondità era molto più pronunciata della larghezza frontale dove era incassato uno schermo dagli spigoli arrotondati. La nostra televisione era collocata sopra un carrello con un doppio ripiano e dai montanti metallici. Mi ero domandata spesso come funzionasse quella scatola magica, cercando di intravedere una spiegazione osservando dai forellini sul fianco dell’involucro, ma quello che riuscivo a vedere era la fioca luce calda emanata dalle valvole e un accrocco misterioso di fili e dispositivi del tutto privi di significato, per la maggior parte degli adulti, oltre che per una bimba di pochi anni come me.
Non esisteva altro. La televisione di casa era quanto di più moderno e tecnologico si potesse sperare di avere a portata di mano; ancora più affascinante di una radio o di un giradischi perché c’era l’attesa, l’attesa dell’inizio della trasmissione che mostrava allo spettatore un connubio di suoni e immagini fatte di meravigliose sfumature e contrasti di bianco, grigio e nero. Mi ricordo che avevo imparato a leggere l’orologio anni prima, proprio per riuscire a capire quanti minuti mancassero all’avvio della Tv dei Ragazzi, unico orario che allora potesse suscitare in me un minimo di interesse; avevo imparato quello che serviva per far funzionare il sistema televisione: l’accensione dell’apparecchio vero e proprio, che aveva da scaldarsi come un motore prima della partenza di una gara, era abbinata infatti all’attivazione del pulsante sulla scatola posta sul ripiano più basso del carrello che faceva mutare una spia dal rosso al verde:se il modo di funzionare della televisione era vago e sconosciuto completamente ai più, ancora più vago era quello di quel dispositivo, ma di certo fu subito chiaro che senza di esso non era possibile avere una visione continua dei programmi, priva di sbalzi e rimpicciolimenti improvvisi delle immagini.
Padroneggiavo ormai su tutto il sistema anche per i programmi della sera quando arrivava il giorno in cui sarebbe andato in onda un film; tutta un’attesa, anche il titolo del film sarebbe stato annunciato solamente pochi minuti prima dalle Signorine buonasera.
Ricordo che per tanto tempo la TV ha avuto solamente due canali, il nazionale ed il secondo e la trasmissione di un film non avveniva tanto spesso, una o due volte la settimana al massimo ma capitava spesso che si trattasse di qualcosa di poco interessante per una bimba di quell’età.
Il buio oltre la siepe mi era piaciuto così tanto da desiderare di rivederlo subito una seconda volta, ma allora non potevi contare su uno streaming di google, sull’on demand di Sky.
Per fortuna c’erano i libri e fortuna ancora più grande, abbastanza rara per quegli anni, era avere qualcuno in casa che di libri ne leggesse tanti e ne avesse sempre qualcuno da proporre. Così accadde anche per Il Buio oltre la siepe che cominciai a leggere un’estate di tanti anni fa.
Leggevo e vedevo di nuovo gli attori muoversi come nel film; il libro era ancora più bello perché tutto si arricchiva di particolari, i personaggi facevano di più e certi fatti o storie appena accennati nella versione cinematografica, nel libro, diventavano storie nella storia e rendevano tutto più chiaro e avvincente.
Il meraviglioso Gregory Peck vestiva i panni dell’avvocato Atticus Finch, uomo colto e pacato che inaspettatamente si mostrava abile tiratore nel centrare con un colpo solo un cane affetto da rabbia; così appariva ai miei occhi mio padre che non era avvocato, non era istruito ma aveva il medesimo garbo nell’affrontare le persone, la stessa forza interiore, così da rappresentare per me un punto di riferimento come Atticus lo era per la piccola e intraprendente Scout e provai con lei la medesima e intensa emozione per quel suo primo rapido bacio dato all’amico Dill.
Ho scoperto con Scout il significato della parola razzismo, ho compreso che vale sempre la pena lottare per un’ingiustizia e ho cercato sempre di avere il suo stesso coraggio nel diventare adulta.
Molti dei personaggi di quel libro, sono sempre comparsi nel cammino della mia vita: non sono mancate le paure e le lotte quando la complessità del mondo contrario ai valori della lealtà e della giustizia, mi ha messo a dura prova.
Sono stata fortunata ad avere il mio Atticus in mio padre, il mio Jem in mio fratello e a trarre ispirazione dall’intraprendenza di Scout.
Non ho paura neppure adesso ad andare avanti, adesso che il cammino pieno di insidie e di dolore si è fatto solitario perché sono certa l’ombra più lugubre può a malapena celare il coraggio di quell’Arthur Boo Radley che è in me.
Nell’immagine di copertina, la locandina del film e il libro, assemblata dai grafici di a.l.a.
Betty Lorini
Com’è vero che ci portiamo sempre dietro, per tutta la vita i libri letti!