Una visione ironica e personale delle inserzioni pubblicitarie televisive nel periodo natalizio.
Siamo stati catapultati nelle ristrettezze, nei riscaldamenti a respiro ridotto, nei felponi tirati fuori dai bauli – non li mettevamo più per casa, ma adesso sì eccome…
Natale resta comunque tempo di regalini, anche con gli apericenoni fai-da-te, i porta-party e le ghirlande, poco luminose, agli usci di casa. Che volete farci, ogni tanto cambiare non può far male.
E poi tranquilli: promozioni e offerte varie non sono mancate, anzi. Ci sono state giornate e ancora giornate di Black Friday, anche di lunedì. E d’altra parte, grazie alle impennate delle vendite offline e online, le festività sono rimaste ancora grosse opportunità per fare marketing, perciò non sono andate sprecate.
Ci siamo sprecati noi, invece, negli spot, sempre più cinematografici. Come ogni anno evocano gioia, ma quest’anno finalmente anche solidarietà e serenità, laddove è stato possibile, tanto ce n’è bisogno. Babbo Natale, con i colori della Coca Cola, è in testa alla classifica; lo spot della lunga canna fumaria fatta di cartoni nastrati da cui escono doni per tutto un condominio con il soundtrack Chim Chiminey, per esempio, da noi se ne vede uno scorcio, ma il video originale è bellissimo. Anche “Yes Milano”, la guida promoter della città, ha usato l’icona di Babbo per lanciare lo slogan “La città che cambia il tuo Natale”. Nello spot infatti troviamo l’omino panzuto che cambia look, occhiali e abitudini in tempo di Natale, all’ombra della Madunina.
Amazon invece ha scelto di commuovere, poiché anche la commozione, come l’influenza, è stagionale. Con lo scopo di affermare la sua funzione principale, cioè quella di catalogo universale in cui cercare alla svelta ogni sorta di oggetti per soddisfare al meglio la nostra creatività, ha ideato una brevissima e densa storia in cui un papà prepara una sorpresa incredibile alla figlia: una boule con la neve per entrarci dentro, ma a forma di serra. Anche qui lo spot originale fa intuire di più. La nostalgica tristezza di una mancata presenza familiare nella bambina sta in effetti alla radice dell’ingegnosa idea del padre. Difficile non sciogliersi come torroni al sole.
Il pandoro più famoso invece, quello lilla, se non si è rinnovato nel ritornello “a Natale puoi…”, almeno ha creato uno spot dal sapore inclusivo, dove si immagina, e qualcuno riesce a realizzare, una confezione di cartone ad hoc per ogni gusto e diversità anche molto particolari. Complimenti.
Laddove, però, è mancato il tormentone “Cubetti cubi cu” (e a me sarebbe piaciuto risentirlo, perché mi provoca un certo riflesso di Pavlov rimandandomi alla carbonara di mamma), le fantasmagoriche boccette scintillanti di fragranze conturbanti hanno avuto campo libero. Eccoli, a rimpiazzare le pancette affumicate, i profumi (che ovviamente si regalerebbero parecchio per le feste, ma che essendo molto personali e troppo costosi, meglio andarci piano) dalle pubblicità radiose che ne dichiarano il nome solo alla fine usando voci fuoricampo straniere, androgine, rauche e nasali.
Dopo aver messo in evidenza maschi muscolosi in mare, a cavallo, nel deserto, in accappatoio, o belle donne magre, sintetiche, eleganti, velate al vento, una voce pronuncia poche parole, didascalie stringate in lingue diverse dalla nostra. E il nome del brand, di conseguenza storpiato come in un film di Totò (“Nòjo vulavam savuar l’indiriss…” cit.)
Non è ancora tutto, c’è il caffè: con il grande (grosso?) chef che napoletanamente ci dice “E bbuono è!”. Oppure con il ragazzo che in un altro spot, all’offerta del caffè ricevuta a fine pranzo, chiede se ci sia invece qualcosa di meglio. Una fanciulla gli risponde con il nome di un noto liquore al caffè, e tutti intorno approvano e finiscono il convivio festaiolo felici, tracannando a turno il liquido scuro e alcoolico che esce dalla classica boccia tanto liberty quanto slim.
Niente di più ingannevole, direi, dato che meglio di un caffè c’è decisamente e con spocchiosa certezza labronica lo riconosco, un bel ponce fatto bene e con tutti i sentimenti, magari da uno bravo, nella Livorno storica dei canali della Venezia. E badate bene: ponce, giammai punch. Da noi e almeno fino a Pisa (con rispetto parlando). Altro che fragranze dal nome biascicato! Altro che “Yes Milano”! Casomai… profumo di “persiana” o “Diamine Livorno”!
Ma godetevi le Feste e siate lieti, di doman non c’è certezza. Parola di Lorenzo.
P.S. Comunque, e per non farla troppo lunga: la pubblicità, non la sottovalutiamo, date retta. Perché che ci piaccia o no, essa finisce sempre per raccontare intuitivamente, per immagini, suoni e sensazioni, la nostra storia.
Se andassero a fuoco tutte le testimonianze cartacee, tra un migliaio di anni, decifrando le pizze dei nostri spot rinvenute tra le pietre delle fondamenta di Viale Mazzini a Roma, probabilmente i posteri capirebbero al volo e senza sforzo di che cosa vivevamo e perché pensavamo ne valesse la pena.
Le immagini sono ricavate da uno short pubblicitario trasmesso in TV nel periodo natalizio.
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