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Istantanee

“Ma I VERI VIAGGIATORI VIAGGIANO PER VIAGGIARE, /cuori leggeri, simili a palloncini / al loro destino mai cercano di sfuggire / e, senza sapere perché / sempre dicono: “Andiamo!”.
Così Baudelaire, nella poesia “Il viaggio”, che fa parte de “I fiori del male”.

Anch’io sono così, nel profondo del mio leggero cuore e, da giovane, giravo il mondo anche da sola, con un piccolo bagaglio, un cappello di paglia o di lana, a seconda delle stagioni, gli occhiali da sole, una piccola borraccia da riempire alle fontane che incontravo. Mi sentivo sicura, seguendo una stella luminosa, che rischiarava il mio cammino: la curiositas sciendi, l’insopprimibile desiderio di conoscere, di imparare e infine di sapere. Ansiosa di vedere nuovi paesaggi, di apprendere qualche parola o frase di altri idiomi, di assaggiare nuovi cibi e bevande ma, soprattutto, di provare emozioni e brividi, trovandomi vicina ai grandi capolavori artistici, ad architetture, dipinti, statue, finalmente usciti dalle pagine dei libri e materializzati, davanti a me!

E ora, delle istantanee sono vive in me. La frase di mio padre, che era stato tre anni prigioniero degli Inglesi nel deserto, mentre viaggiavamo di sera verso Gizah, a bordo di un cigolante autobus. Uno dei suoi più grandi insegnamenti: “Non avrai mai idea di quanto gli uomini siano piccoli ed insignificanti se non guarderai le stelle nel deserto, solo quello spettacolo lo fa capire veramente”.
Scendemmo e subito alzai il capo verso la volta celeste. Nel buio profondo, nero-blu, miliardi di stelle brillavano sopra di noi, con la forza travolgente di una visione mistica, che mi ricordò il “fulgore” che travolge Dante nell’ultimo canto del Paradiso, di fronte alla visione di Dio. Abbacinato, non vede più nulla e si sente girare con il Tutto da “l’Amor che move il sole e le altre stelle”.

Mio padre aveva ragione, noi uomini siamo piccoli come un granello di polvere di stelle, eppure ci sentiamo ancora al centro dell’universo, nonostante fisica e astronomia ci abbiano spiegato che la Terra è un pianetino periferico. Quel cielo stellato così rilucente e immenso era solo un piccolo barlume della grandezza di Dio.
Il giorno dopo, di fronte alle Piramidi, sotto un sole cocente, un ricco signore dall’accento milanese, con una grossa Nikon appoggiata sulla pancia, scattò una foto e disse alla moglie. “Ma in fondo, che cosa sono Le Piramidi? Mucchi di sassi!”.
Mi sentii arrossire le guance e la fronte dall’ira, mi trattenni a fatica dal rispondere, anche per un cenno con la testa che mi fece mio padre. Guardai la piramide di Cheope: 4.500 anni, secondo la contestata datazione ufficiale, perché per molti studiosi potrebbe essere molto più antica. Si stagliava sulla sabbia accecante del deserto con i suoi 146 metri, come una montagna, nelle sue misure perfette, con uno scarto sui lati di poco più di un centimetro, cosa che nemmeno un architetto moderno, sfruttando le attuali tecniche costruttive, riuscirebbe a riprodurre. A quei tempi non si conosceva la ruota e tutto viaggiava scivolando sulla sabbia; gli strumenti erano in legno ed in rame, il ferro non era stato ancora usato per forgiarli. I blocchi erano alti e sovrapposti, senza malta, ma talmente ben collimanti che neppure la punta di un fine coltellino poteva essere inserito fra di essi. All’interno, una serie di gallerie conducono a stanze funerarie, in cui i massi più grandi, pesanti tonnellate, stanno più in alto di quelli più piccoli. In una camera, un sarcofago scavato in un masso di diorite, una pietra durissima, con quali attrezzi? Fuori la Sfinge, dal volto di donna e dal corpo di leone, teneva fra le zampe il Tempio a valle e. al solstizio d’estate, guardava sorgere la costellazione del Leone proprio davanti a sé…

I ricordi chiamano altri ricordi, altri attimi preziosi, che il cuore trattiene nel suo polveroso album. Riemergono disordinatamente, per analogia o per contrasto o chissà per quali disordini o strane alchimie.

Statua di bronzo di Poseidon, Museo Archeologico di Atene. Credits Commons Wikipedia.

Ed ecco il mio stupore, davanti al Poseidon di Capo Artemision, una statua alta due metri, in bronzo, dal corpo bellissimo, con i muscoli scolpiti propri dello Stile Severo, opera di Kalamides, uno scultore del V secolo a.C. Il dio del mare, fratello di Zeus, posto su un alto basamento, in mezzo ad una sala del Museo di Atene, scagliava il suo tridente con il braccio destro arretrato e quello sinistro avanzato e teso, per prendere la mira. Diffondeva panico e terrore, minacciando morte e malattia…

E oggi, a 73 anni, che ne è di tutto il mio viaggiare, a parte i ricordi così vivi che hanno plasmato la mia anima? Oggi viaggio molto meno. Ho scoperto, però, che I VERI CAMMINATORI CAMMINANO PER CAMMINARE. E finché avrò forza nelle gambe, con il cuore leggero come un palloncino, risponderò sempre: “Andiamo!” girando a piedi e scoprendo la nostra bella città.

L’immagine di copertina è un’alaborazione dei grafici di a.l.a. con Adobe

Cristina Quartarone

Pubblicato inBlogPronti attenti blog

3 commenti

  1. Rosalba volpi Rosalba volpi

    Notevole e piacevole lettura anche per una come me che non ama viaggiare. Ma un grande rimpianto riaffiora graziella tue descrizioni e riflessioni: quello di non aver mai contemplato il cielo stellato nel deserto.

  2. Anna Pagani Anna Pagani

    Farò come l’autrice suggerisce : desidero scoprirmi camminatrice e vedere del mondo il curioso movimento della bellezza

  3. Arturo falaschi Arturo falaschi

    Ricordo lo stupore, quasi lo sgomento, davanti alle piramidi, alla sfinge e alla galleria che conduce alla sfinge. Ma come hanno potuto costruire colossi di quel tipo con quella precisione estrema (nemmeno la lama di un coltellino entrò tra due blocchi vicini)? Una sola risposta mi sembrò adeguata: non è possibile costruirli. Là il mistero è davanti a te, imponente

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