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Io sto con Benjamin Driscoll

#PABlog Tema 3: Si può salvare il mondo con il semplice aiuto delle piante?

L’immagine di copertina è una fotografia scattata da Anna Maria Citi in un angolo del Vivaio Giardino Signorini a Montenero, Livorno.

Si può salvare il mondo con il semplice aiuto delle piante?

La domanda a prima vista sembra quasi retorica: certo che no! Pare la risposta attesa.
Semplicistico pensare che “solo” con le piante si possa trovare la salvezza: rimanda all’utopia di quel Benjamin Driscoll, protagonista del Verde mattino di Ray Bradbury[1], che, piantando alberi per un mese, riesce a rendere respirabile l’atmosfera di Marte, altrimenti inadeguata alla vita dell’uomo.
Era un sogno, eppure si avvera! E perché non dovrebbe avverarsi il nostro?

Proprio recentemente Stefano Mancuso, biologo di fama internazionale, nel suo Fitopolis, la città vivente [2] dimostra, dati alla mano, che la presenza di aree verdi nel tessuto urbano può ridurre di 3-4 gradi la temperatura, con conseguente diminuzione dell’uso di condizionatori che a loro volta surriscaldano le nostre città. È esperienza di tutti registrare sul termometro delle nostre auto uno scarto anche fino a 5 gradi quando si passa dai centri abitati alle campagne limitrofe. Sappiamo bene che la maggior parte dei guai del nostro pianeta deriva dall’innalzamento della temperatura: scioglimento dei ghiacciai (ritenuti) perenni con il pericolo di innalzamento del livello dei mari e perdita delle strutture antropiche costiere; inaridimento totale delle aree già a rischio con conseguente incremento delle migrazioni; tropicalizzazione delle zone temperate con surriscaldamento anomalo e alluvioni con effetti disastrosi; alterazione dell’ecosistema e riduzione della biodiversità che accentuano la probabilità di pandemie nel mondo animale e vegetale. Se a questo si aggiunge l’inquinamento a tutti i livelli (aria, acqua, terreno e di conseguenza prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento) il quadro diventa catastrofico.

Dunque, che fare? Mancuso propone di avere il coraggio di trasformare le attuali arterie trafficate delle nostre città in viali alberati che avrebbero effetti benefici non solo sul clima ma anche sull’economia, perché attrarrebbero il passeggio e gli acquisti, come riconoscono i commercianti delle città del nord Europa in cui sono stati avviati questi esperimenti.

Non si tratta certo di un progetto facile. Primo, perché si scontra con gli interessi economici tanto giganteschi quanto miopi delle industrie automobilistiche, dei produttori di petrolio, degli speculatori edilizi e di tutto il loro indotto, che sembrano indifferenti di fronte alla prospettiva che in un prossimo futuro anche il sistema produttivo attuale sarà messo in crisi dagli inevitabili capovolgimenti del pianeta. Secondo, perché prevede un radicale cambiamento nel modo di vivere: non più mezzi di trasporto privati ed inquinanti sotto casa, ma mezzi pubblici puliti ed efficienti; riconquista dell’abitudine a camminare, azione naturale ma desueta, che combatte obesità, cardiopatie, malattie vascolari oggi così diffuse; consumo di prodotti alimentari biologici e a km zero; riduzione degli allevamenti intensivi. Terzo, perché sussistono oggettive difficoltà economiche e progettuali per rimodellare le nostre città cementificate in una dimensione più naturale. Ma il rifiuto di questa inversione di tendenza significa distruzione certa.

Inoltre, non dimentichiamo che l’apporto che gli alberi possono fornire alla nostra vita è plurivalente: in primis contribuiscono significativamente a un clima sostenibile, fondamentale per la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi, ma anche a un miglioramento della qualità della vita sul piano estetico ed etico. Esagero? Non credo.

Fin dagli albori della civiltà urbana, gli intellettuali greci rappresentavano la natura, da cui gli uomini si stavano allontanando, come un ambiente capace di suscitare la meraviglia dello sguardo e la gioia dell’animo a partire da Omero [3] fino ad arrivare a Teocrito [4] con la formalizzazione del locus amoenus: alberi ombrosi, fiori profumati tra cui volano le api, canti di uccelli, acque limpide, cielo sereno erano e resteranno gli “ingredienti” per rappresentare un luogo delizioso, capace di ristorare il corpo e lo spirito e di indurre pace e armonia grazie alla bellezza della natura.

Nella cultura romana, nell’elogio della natura, si accentua, accanto al valore estetico, quello etico, ampiamente condiviso da molti scrittori latini: oltre al piacere del bello, la natura trasmette con i suoi ritmi lenti e ciclici una diversa concezione della vita, lontana dagli eccessi e dalla frenetica ricerca del successo. La natura si fa proiezione e mezzo di realizzazione del desiderio di atharassìa epicurea, come dimostra la famosa favola oraziana del topolino di campagna che preferisce la sua vita parca ma tranquilla all’opulenza infida del topolino di città [5]; in modo ancora più esplicito, Virgilio esalta la vita semplice di un pastore che può godere dei suoi boschi e denuncia la tragedia di chi, per giochi di potere, deve rinunciarci [6]; anche Seneca esprime attraverso il personaggio di Ippolito la convinzione che il contatto con l’ambiente naturale induca a cogliere il profondo valore etico della vita e a non essere contagiati dall’avidità di onori e ricchezze [7] che, come è, o almeno dovrebbe essere, ormai chiaro a tutti, è alla base dello sfruttamento del pianeta nonché delle violenze e dell’ingiustizia sociale. Non a caso, anche nell’immaginario cristiano, la fiera che fa disperare Dante di poter raggiungere la salvezza è la lupa, allegoria dell’avidità [8].

Quindi, presupposto delle strategie che l’uomo dovrà mettere in atto per salvare il pianeta sarà proprio il senso della misura e del rispetto dei diritti di tutti gli esseri viventi: diversamente non ci sarà equilibrio possibile tra esigenze di sopravvivenza di una popolazione sempre più numerosa e necessità di salvaguardia di un pianeta esausto ma ancora in grado, forse, di ritrovare il suo stato di salute. La recente esperienza delle misure restrittive a causa del Covid-19 sembra proprio dimostrarlo: la momentanea sospensione delle attività umane più inquinanti sembrò riportare il nostro mondo a una condizione primigenia con aria limpida, acque terse, voli di uccellini cinguettanti, vegetazione florida… sarà stato un caso dovuto alla stagione primaverile o un saggio di ciò di cui potremmo godere se fossimo più rispettosi della natura?

Se posso permettermi una nota personale, termino il mio articolo seduta al tavolo di pietra di un giardino rustico di montagna, circondata da acacie, faggi e abeti che mi offrono fresco e pace, e ancora più convintamente sostengo che, sì, le piante salveranno il mondo.


[1] R. Bradbury, Il verde mattino, da Cronache marziane, 1950
[2] S. Mancuso, Fitopolis, la città vivente, Laterza, 2023
[3] Omero, Odissea, V, vv. 63-74; VII, vv. 112-124
[4] Teocrito, Idillio 11; Idillio 7
[5] Orazio, Satira II, 6
[6] Virgilio, Bucoliche, Ecloga I
[7] Seneca, Fedra, vv.483-558
[8] Dante, Commedia, Inf. I, vv. 49-54

Anna Maria Citi

Pubblicato inBlogPronti attenti blog

Un commento

  1. Cristina Quartarone Cristina Quartarone

    Cara Annamaria,hai perfettamente ragione,le piante salverebbero senz’altro il mondo.Ho usato il condizionale perché stiamo andando,purtroppo, in una direzione completamente opposta,nonostante si parli tanto di rivoluzione green e di costosissimi cappotti termici ed auto elettriche,di case acquistate con sacrifici di tanti anni che perderanno di valore e non potranno essere ne’vendute ne’affittate se non saranno state efficentate a nostre spese!L’inquinamento aumenta a dismisura ,stiamo riempiendo l’atmosfera di veleni(pensiamo a tutto quello che gettiamo in cielo con le attuali guerre,al glifosato,a tutti i concimi,i saponi ed i prodotti per la pulizia chimici,all”inquinamento elettromagnetico,uno dei più subdoli perché non si vede,che causa invece tumori al cervello,al cuore,danni alla vista,alla fertilità maschile e femminile e che rende molte persone elettrosensibili,quindi impossibilitati a vivere nelle nostre società e completamente ignorati da quasi tutti i governi.Le piante sono fra le più danneggiate da tutto questo,in primo luogo perché l’inquinamento acidifica i suoli e rende le piante incapaci di scambiarsi il nutrimento.a livello delle radici (è una delle cose più belle del regno vegetale questa solidarietà sotterranea che esiste nei boschi ,nei giardini,nei viali,per cui se a qualche pianta o albero manca il nutrimento,le vicine provvedono!);in secondo luogo perché le piante vengono sempre più abbattute in quanto,con l’umidità delle loro fronde,assorbono le radiazioni elettromagnetiche.Per l’inquinamento stanno sparendo molte specie di animali,in tutto il mondo.Io condivido in pieno quello che tu hai scritto così bene,cerco anche di metterlo in pratica,mangiando in modo parco e sano,prevalentemente vegetale e bio,usando acqua ed aceto per pulire (cosa ecologica e a poco prezzo che da ottimi risultati! ) andando a camminar nei parchi per chilometri,,facendo ginnastica ogni giorno,usando prodotti per la cura personale il più possibile naturali,ma se ne parlo mi guardano in modo strano,come se fossi fanatica! Comunque non demordiamo e continuiamo a cercare di cambiare il.mondo,dato che il mondo lo cambiano solo i visionari!Grazie per l’articolo che hai scritto, che è comunque un arricchimento per tutti coloro che lo leggeranno.. Anch’io sto con Benjamin Driscoll!

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