In un’estate come questa, piena di cambiamenti, squali, caldo, pioggia, grandine, mai come in altri periodi dell’anno, si son potuti fare diversi incontri bizzarri o inaspettati. Nonostante tutto, è sempre successo eh: l’orecchino che si credeva perso nella buca der water e che invece spunta fuori dal cassetto delle mutande o peggio da sotto al tappetino della Mercedes del ganzo; oppure la tiscért di quel bel colore verdone che cercavi fin da maggio e che poi scovi a settembre rinfrignolata dietro a un cassetto del canterale – toh, guarda dov’era…
O ancora, tanto per cambiare, incontri ravvicinati col ragno violino, dal nome tanto bellino e dalla puntura davvero dolorosa, ma che però dice l’esperto è più pericolosa la vespa, ancor di più la Vespa di Pontedera dico io, allorché non si fermi sulle strisce quando siamo proprio noi ad attraversarle.
Oppure, sempre parlando d’incontri strani, si è visto che se ne son potuti fare anche con dei pitoni, per esempio, uno addirittura giù in garage. Magari, attorcigliato e riposato come uno stronzolo, s’era messo in testa di fare la guardia proprio alla Daf 66 Giardinetta di quella eccentrica di Amalia del pianterreno. Può essere.
In quelle occasioni, a tu per tu coi serpenti, dice si son dati da fare un po’ tutti; volontari, giardinieri, meccanici, gommisti, ofiologi, vigili urbani e meno vigili, insomma un bell’ambaradan o se si preferisce un bel casino. Cosicché, quando il proprietario, Osvaldo del terzo piano, è andato a riprendersi il rettile fra tutti gli devono aver detto proprio “bello mio!”. E nel sentirsi apostrofare per la fatale lacuna nel suo servizio di sorveglianza domestica alla bacheca della desueta bestia, lui deve aver replicato con flemma da costiero in infradito: «Eh birbante, ogni tanto Jafar lo fa…»
D’altra parte bisogna pur capirli questi animali, perché anche se a noi ci potrebbe venire il picco dell’ipertensione a trovarseli fra i piedi ignudi, a loro magari manco gliene importa di quanto ci puzzano.
Sapete però, queste storie di bestie mi riportano a tempi passati e grassi, quando, in vena di spaghettate, si tornava a casa da una scampagnata sugli scogli (i labronici le scampagnate le fanno al mare) col secchio pieno fino a metà di favolli scalcianti, ma in fondo mansueti, anche se poco propensi a finire nel tegame. Erano quelli che, pur nella loro svelta ed esperta andatura, non erano riusciti a scappare al Marzocco e quindi anche a scampare al destino segnato di diventar rossi nei sughi per paste succulente e profumate di salvia e pomidoro.
Bei tempi.
Oreste l’arsellajo mi ha confidato che adesso di favolli come quelli non se ne trovano più e che al loro posto vanno scheleggiando per le scogliere nostrane crostacei, granchi simili a loro, ma blu. Che invece di scappare via ti vengono incontro strizzando le pinze minacciosi, o al meglio stan fermi guardandoti con aria di sufficienza e di sfida (o pigliami?).
Vengon dalle Americhe, sarà per quello, e sulle coste còrse son già colonia maggioritaria. A noi qui ci fanno un po’ impressione, anche per quel colore cianotico, ma a detta di chi li ha assaggiati son polposi e squisiti. Il guaio è che non sono timidi e non essendo loro abitudine battere in ritirata, avanzano come truppe prussiane di Bismarck col Pickelhaube e tritano tutto ciò che gli capita a tiro.
“Boja!” ho pensato livornesemente “… o dove son’andati i favolli d’una vòrta? Forse in Ameri’a. Si son scambiati…” Oddìo, todo cambia, cantava Mercedes Sosa (no quella del ganzo e dell’orecchino di prima) e tutto ci sta. Ma trovarsi noi a fare il sugo coi granchi ameri’ani, anche no guarda.
Patrizia Salutij
Questo articolo la “nostra” Patrizia l’ha pubblicato sul Vernacoliere nella rubrica Qui, fuori di qui e all’estero.
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Quando la leggerezza è intelligente
Straordinario come al solito il pezzo di patrizia, questa volta malinconico oltre che ironico.