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Il mio primo viaggio

PABlog Tema 4

Nella foto di copertina, il castello Les Baux.

Era di maggio, un bel maggio tiepido su cui si alzava il primo sole caldo dopo l’inverno e la Provenza faceva sfoggio dei suoi colori nel cielo, limpido e azzurro, nei paesaggi, come usciti da un quadro già visto, ma non avrei saputo dire dove.
Durante la cena, Michela mi comunicò con semplicità che il giorno dopo mi avrebbe portato a conoscere un posto straordinario, e aggiunse con un sorrisetto sotto i baffi che avrei dovuto fidarmi perché era una sorpresa.
E la sorpresa ci fu e grande. Mi portò a Roussillon e di lì nel Luberon.

Lasciammo la macchina in uno spiazzo sterrato dentro un parco e ci incamminammo; lei mi precedeva di qualche passo, mentre io mi guardavo intorno curiosa e stupita di vedere in lontananza strisce luccicanti gialle scendere giù dalle pareti rocciose.


Quando ci addentrammo nel Luberon, tutto intorno era uno sfavillio ocra che il sole di mezzogiorno svelava in tutte le sue tonalità: dal giallo intenso dell’arancio al rosso mattone.
Dentro il parco si aprivano in più punti spazi e piccole colline di terra ocra, sulle quali camminammo come nel deserto, con il sole a picco sulle nostre teste e felici di tutta la luce e il colore e il caldo che il nostro corpo assorbiva.
Mi sedetti in cima a una di queste collinette e pensai ai quadri di Van Gogh, Cezanne, Monet; capii da dove venivano quei colori così brillanti sulle loro tele.
A malincuore lasciammo quell’incanto; il tempo era passato e dovevamo rientrare.

La sera mangiammo crostini al foie gras, accompagnati con dell’ottimo Syrah che conciliò il mio sonno fino alla mattina dopo.
Quel sonno ristoratore fu essenziale per affrontare la giornata successiva della quale, ancora una volta, Michela mi svelò ben poco e forse fece bene perché se avessi saputo, non so se l’avrei seguita a Les Saintes Maries De La Mer nella Camargue.
Infatti, quando arrivammo ci accolse uno spiazzo immenso di roulottes parcheggiate: roulottes appartenenti al popolo gitano, proveniente da tutto il mondo che in quei giorni si era ritrovato a Les Saintes Maries per festeggiare Santa Sara la Nera.

Ebbi un atto di smarrimento. I gitani hanno fama di dedicarsi volentieri allo scippo. Meritata o meno questa fama, pensai bene di fare attenzione: documenti e soldi nascosti addosso, in borsa niente. Michela invece non se ne preoccupò affatto, anzi mi disse che potevo stare tranquilla, durante la loro festa non rubavano mai.
Tentai di tranquillizzarmi. Quando parcheggiai la mia Panda rossa, un minuscolo punto colorato in mezzo a quell’oceano bianco di roulottes grandissime e lussuose, ebbi ancora un tentennamento. E se me la rubavano? Se l’aprivano e ci rubavano il vino che avevamo comprato? Ignorai lo sguardo di rimprovero della mia amica e con piglio deciso afferrai il mio antifurto “con le palle” che mi portavo sempre dietro e risolutamente mi sforzai di agganciarlo ai pedali dell’auto sudando sette camice accovacciata in terra, a trafficare con l’arnese che prendevo per la prima volta in mano. Quando mi rialzai ero sudata e scapigliata, le mani sporche di nero, ma l’antifurto era messo; Michela mi guardava con compassione.
Però ci incamminammo lo stesso verso il centro e mano a mano che ci avvicinavamo sentivamo sempre più chiaramente cantare e il suono delle chitarre; a tratti riconoscevamo le note del flamenco. Michela accelerò il passo.
Le strade, le piazze, i caffè erano gremiti di persone, in maggioranza uomini, un po’ di tutte le età. Suonavano, ballavano e cantavano ininterrottamente, stravaganti, eccentrici, indifferenti agli sguardi. Quei corpi emanavano forza, conoscenza della vita.
In quella confusione assordante, mi dilungavo nei miei pensieri e solo per caso mi accorsi che invece Michela si era fatta prendere dal flamenco e ora la vedevo ballare come una forsennata in mezzo alla piazza con i gitani.

Quando calò la sera, come per magia i canti cessarono, la folla si disperse, le strade si svuotarono, ma i ristoranti si riempirono e al chiuso la confusione tornò a regnare sovrana.
A notte riprendemmo la strada del ritorno. La mia pandina era ancora lì, tutta intera, vino compreso.
Arrivammo in albergo stanche e un po’ stordite. Avevamo voglia di sdraiarci e dormire, ma ci toccava il bagaglio per la partenza del giorno dopo verso casa.
Quando finalmente, sui nostri volti bianchi come cenci si spense la luce, erano le tre di mattina.

Il lungo viaggio verso casa fu tranquillo e rilassato; entrambe per un po’ di tempo tacemmo prese dai nostri pensieri e dalla malinconia che sempre ci afferra quando lasciamo un posto dove siamo state bene. Ogni tanto nella mia mente si affacciava il tran tran del giorno dopo, ma decisi di ricacciarlo con forza. La vacanza non era ancora finita e quegli ultimi istanti erano ancora preziosi.

Le foto sono di proprietà dell’autrice

Loredana Sardini

Pubblicato inBlogPronti attenti blog

3 commenti

  1. Anna Pagani Anna Pagani

    I profumi e i sapori della Provenza dipinti dalle parole!
    Bellissimo appunto di viaggio!
    Bravissima

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