La foto è di akiragiulia (Pixabay)
È inutile, non ci libereremo mai dal sugo bello denso e agliato der cacciucco.
Bòno è bòno, ma dé, ce l’abbiamo dappertutto; l’odore dei pesci in umido da noi si respira per la strada, per le scale dei condomìni, nei barri. Non che ci dispiaccia, ma fra pòo ir sugo si venderà anche nelle bottigliette in profumeria, coi bastoncini da infilarceli dentro per aromatizzare le case al posto del pino silvestre. Eppure, anche lì, nel cacciucco così bòno, ci sono i pesci più brutti e pericolosi, pieni di lische che se ‘un istai attento, oppure se sei pisano, resti strozzato e ‘un ti salva nemmeno Valdoni.
Per esempio, c’è la tracina a me tanto cara, pesce liscoso e saporito da morto, ma che se ci fai un incontro podalico ravvicinato da vivo, mentre cammini per sentire quanto ci tocchi nei fondali d’Antignano, son dolori tuoi.
C’è la cicala, la canocchia o spannocchia come la volete chiamare, che quando la ciucci ti lecchi i baffi, ma ti graffi le labbra che poi ti prendono fuoco fino alle mucose, anche grazie alle abbondanti dosi di peperoncino che usiamo metterci, dentro questa zuppa quasi infernale.
C’è lo scorfano, dalla polpa sopraffina, ma brutto appunto come uno scorfano e pieno di lische insidiose anche lui.
Insomma, mangiare il cacciucco è come combattere per sopravvivere al pesce che è già cotto, ma che non la smetterà mai di essere traditore.
È proprio una questione d’orgoglio, la nostra, solo chi è livornese lo può sapere. E badate bene, non quelli di foravìa, che son nati altrove, poi a un certo punto chissà perché, siccome vengono a vivere a Livorno, pretendono di essere anche livornesi. Quelli son fuori gioco. Anche se capiscono espressioni come “quaìni” o “vaìni”, “e ci ‘onci” o “ghiozzo di bu’a”…, e ni par d’esse’ nati ai Tre Ponti. No… non lo sanno, ma come loro ambiscono a questa appartenenza, alla cittadinanza per residenza, allo stesso modo i pesci del Mediterraneo si picchiano per far parte di questa specialità gastronomica che quelli di fòri ci vorrebbero scopiazzare, ma tanto non gli riesce.
Con la bella stagione, che speriamo si stia avvicinando perdavvero, la consueta tre giorni di bagordi di cacciucco e vino rosso da gustare alla Terrazza Mascagni o nei dintorni del Mercato Centrale, è alle porte. Speriamo che da qui in avanti i cuochi labronici facciano a gara a chi lo fa meglio, ma anche con meno vaìni, cosicché lo possiamo mangiare tutti appunto orgogliosamente, cioè come dicono l’inglesi “with pride”.
Già: da anni è un successo questa sagra cittadina che si chiama Cacciucco Pride. E solo a pronunciarne il nome par di sentire il profumo del sugo denso e rosso che l’accompagna. La fanno d’estate, con tutti fòri mezzi nudi per il gran caldo, con l’infradito e le canottiere, a mangiare sulle spallette dei fossi o della Terrazza i cacciucchi comprati alle cucine allestite per la strada. E qui si parla di cuochi stellati che si contendono il titolo di cacciuccajo dell’anno, mica di catering cor camioncino! Ma se il Cacciucco Pride ha la funzione di rilanciare la zuppa labronica anche come cibo di strada, a seguire negli anni e secondo la stagione, chissà, forse potranno svolgersi anche giornate del tipo Scagliozzo-e-ragù-di-maiale o anche Sarciccia-co’-fagioli-all’uccelletto Pride. Sempre e rigorosamente roba leggerina e cor digestivo Antonetto (o Maalox o Gaviscon, o quello che a voi, vi carma di più i fortori) a ballini. Basta essere sempre e comunque “proud”*.
(*andatevelavvedé ner dizzionario o su Gugol, cosa vòr dire. Ma vi devo dì tutto io?)
La vostra, verace come una vongola, Patrizia Salutij.
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