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Almanacchi

Tratto dalle Operette morali di Giacomo Leopardi

#PaBlog Tema 10: Realtà e apparenza

L’immagine di copertina è opera dell’ufficio grafico di a.l.a.

«Bisognano, signore, almanacchi?».
«Almanacchi per l’anno nuovo?».
«Si, signore».

«Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?».
«Saranno vent’anni illustrissimo».
«A quale di codesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?».
«Io? Non saprei».
«Non vi ricordate di nessun anno in particolare che vi paresse felice?».
«No in verità, illustrissimo».
«Eppure la vita è una cosa bella, non è vero?».
«Codesto si sa».
«Non tornereste voi a rivivere tutto il tempo passato?».
«Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse».
«Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiacere che avete passati?».
«Ma, caro signore, come è possibile rifare la vita passata senza avere tutto quello che in quella vita stava? Non sarebbe più la stessa vita, ma un’altra, una nuova vita.
E poi, signore mio, la vostra proposta è assurda. Rivivere la vita passata, quella dei vecchi almanacchi, viverla una seconda volta sapendo che è una seconda volta, significa portare in quella seconda vita il ricordo della prima. Ma, al momento che nella prima volta quel ricordo non c’era, la seconda vita non sarebbe uguale alla prima. Appunto perché avrebbe in più quel ricordo e la conoscenza di ciò che sarebbe avvenuto nel prossimo futuro».
«Allora, secondo voi, e anche secondo me, gli anni possono essere vissuti una sola volta. A ogni nuovo anno l’almanacco vecchio è da buttare?».
«Codesto non si sa, signore. Se, vivendo più volte lo stesso anno non se ne potrebbe avere né coscienza né ricordo, niente vieta di pensare che sia proprio così: che ogni anno sia vissuto mille volte senza che ce ne rendiamo conto».
«Magari un numero infinito di volte. Quasi a pensare che quell’anno non sia trascorso mai, ma sempre, eternamente, si ripeta; in un certo senso, che sia sempre presente. Perché, qualora così fosse, non ce ne accorgeremmo mai».
«Certo, signor mio; per questo io conservo tutti gli almanacchi di tutti gli anni passati e ho già pronti quelli degli anni futuri. Li tengo nella cantina, così, quando scendo là, li posso vedere tutti insieme, tutti presenti».
«Si, ma li vede oggi, al presente, non nel tempo in cui saranno o furono vissuti».
«E quando, se no. La vita è oggi, caro signore, solo oggi. In qualunque tempo, situazione, età lei si trovi a vivere, è sempre oggi. Lei e io non possiamo mai uscire da oggi. Oggi ci segue ovunque, noi ci siamo immersi e non ce ne libereremo mai, almeno finché viviamo».
«Allora anche quelli anni passati che potrebbero essere vissuti ancora e ancora senza che ce ne rendiamo conto, sarebbero vissuti oggi, tutti quanti».
«Certo, oggi. Quando mai se no? Oggi e qui».
«Non credo che sarebbero qui, ma là, dove li vivemmo allora».
«Certamente; per questo dico che sarebbero e, forse sono, vissuti qui. Perché noi, io e lei signor mio, sempre qui stiamo. Sempre oggi e sempre qui. Anche se ci spostassimo di cento leghe, sempre qui saremmo, perché il qui sarà sempre con noi o noi con lui. Il qui ci seguirà ovunque e sempre».
«Allora a cosa servono i suoi almanacchi?».
«Servono a contare, signore. A contare tutti gli oggi che abbiamo vissuto e che vivremo. Lei e io abbiamo stabilito, poco fa, che dei giorni, anche se vissuti mille volte, ne avremo coscienza una volta sola, ma questa coscienza, che è un oggi, la collochiamo altrove, in un fantomatico ieri. Perché la nostra mente, ormai, funziona così: ogni giorno un solo giorno, distinto dagli altri. Un oggi che sorge non si sa bene da dove e tramonta per andare non si sa bene dove. Senza capire che si tratta sempre dello stesso oggi che mai si era mosso da noi. Questo è il nostro limite. Per questo li contiamo i giorni, ne facciamo numeri e quantità, e per contarli li rappresentiamo sull’almanacco. Sono simboli, solo simboli. I giorni e gli anni passano, o ci appaiono passanti; i giorni sull’almanacco invece, i simboli dei giorni, stanno sempre lì, sempre oggi. Loro, nella loro immobilità ci rappresentano il vero».
«Allora mi dia un almanacco, il più bello che ha».
«Per lei questo, signore, ha i numeri molto piccoli; con un po’ di buona volontà può riuscire a confonderli l’uno con l’altro. Fanno trenta soldi, signore».
«Ecco trenta soldi, buon uomo. Ci vedremo il prossimo anno».
«Ci vedremo oggi, signore; ci vedremo qui».

Arturo Falaschi

Pubblicato inBlogPronti attenti blog

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