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A proposito di letteratura russa

Foto di copertina di Paolo Baroni
Editing dell’articolo a cura di Sabrina Carletti

Non è facile scrivere di letteratura Russa, ci sarebbe decisamente troppo da dire, e non c’è niente che mi inquieti di più che aprire l’enorme vaso di Pandora per scoprire alla fine di aver dimenticato troppo…. Vi prego non me ne vogliate meravigliose creature fatte di parole, ma vive come un incendio estivo, se non vi nominerò, ma questo in fondo è solo il mio punto di vista. 

Non si può parlare di questo argomento senza iniziare da Puskin, il grande precursore, il primo che cominciò a pensare in Russo e non a fingersi un occidentale, come se non pensare e parlare francese fosse una vergogna. Puskin racconta la sua terra, lo stile di vita di chi la calpesta, ma soprattutto pensa e scrive in russo: leggere Puskin è come calarsi in un mondo tanto lontano da rasentare il fantastico e forse è proprio questo il primo punto che mi ha fatto invaghire della letteratura russa, il calarsi in un mondo di suggestioni, fatto di steppa che non conosce orizzonti e di visioni che non si possono descrivere perché le si possono solo vivere come un sogno tra le righe, per poi ripetersi tra sé: “Ma davvero c’era scritto questo?”.         Potrei elencare centinaia di visioni, di scene epiche, di portentose tele – degne della drammaticità di Caravaggio o della grandiosità di Rubens – che ho incontrato nel mio vagabondare tra i classici russi. Posso aver dimenticato alcuni personaggi e tratti della trama (un intreccio come quello di Guerra e Pace metterebbe in ridicolo anche la più lunga serie Netflix come portata di vicende e di interpreti), ma le vere scene potenti – da vero romanzo russo – mai.

Mi spiego meglio. Decine e decine di pagine di narrazione, di conversazioni da salotto e poi…. TAC! Ecco qua che si apre il colpo di scena. Penso all’eleganza di Eugenij Onegin che per stile di vita si annoia, sempre, e poi un giorno che fa? Sfida a duello il suo amico, lo uccide, e tu lettore pensi: “Ma perché?” e non te lo scorderai mai, come d’altronde il sempre vero mistero dell’amore per cui quando si impazzisce di sentimento spesso non si è contraccambiati salvo poi esserlo quando ormai il fuoco si è spento, e allora ecco Tanja , innamorata di Eugenij, che ci regalerà una grande lezione di femminismo, certo all’interno dei canoni del suo tempo, ma pur vero anche oggi, del genere: “ Io ho dimostrato anche troppo quando era il momento, adesso annoiati pure, ma da solo”; insomma, caro Eugenij leccati le dita. Oppure le incredibili pagine che precedono la fine dell’esistenza di Anna Karenina: una vita che scorre tra le righe, un flusso di indimenticabili visioni che trasmettono pensieri e ricordi di un essere umano disperato e che potrebbero appartenere ad ognuno di noi…

E così da Puskin siamo passati a Tolstoj ma forse il Re delle “Scene epiche” è un altro ancora, e cioè Dostoevskij. Ultimamente ho riletto Umiliati e offesi” C’è un momento in cui il principe Walkowskij, cattivo tra i cattivi, tiene un dialogo col protagonista e in un attimo perde la maschera dell’elegante nobile di campagna per indossare il reale mantello fatto di vizio, crudeltà e assenza di scrupoli, e diviene un diavolo dallo sguardo demoniaco capace di far venire i brividi, anche a più di un secolo e mezzo dalla stesura. 

Se la Siberia è “la terra che dorme” così assonnati non sono i russi che, nonostante al loro storia sia per lungo tempo immobile di fronte al cambiamento, sono estremamente inquieti, e la loro letteratura ne è specchio: mai trovati così tanti articolati, colorati e credibili cattivi come nei loro romanzi, così come tante intrepide romantiche e coraggiose eroine; insomma non dimentichiamo che in Russia c’è stata una grande rivoluzione, eventi del genere non trovano vigore in un paese che dorme, quindi più insonni di così….

Ma proseguiamo per libri. Mentre il Re dei cattivoni Anatolij Kuragin seduce tutta Mosca e nel calderone ci finisce come una pera cotta anche la timida dolce Natasha che non mancherà a sua volta di drammatica forza e sprezzo della vita (ovviamente siamo nel cast di Guerra e Pace), il giudice istruttore Porfirj Petrovic in Delitto e Castigo indaga sull’operato di Rodion, il protagonista, con diabolica abilità. Durante le conversazioni sottintende, dissimula, afferma tutto e il contrario di tutto in una calcolata contraddizione delle sue stesse parole…. vi ricorda forse qualcuno? Qualcuno che si finge tontolone, che non si fa prendere sul serio dagli indagati, che tiene un Bassethound in auto ma non sbaglia un colpo, in compagnia del suo lungo impermeabile sempre spiegazzato e ormai incolore. Sto parlando del tenente Colombo per chi non lo avesse capito, che è proprio ispirato al buon Porfirij. Ma quanto saranno moderni questi classici russi allora?

A chi parta dallo stereotipo lungo generazioni per cui i russi sono scrittori difficili e pesanti posso solo rispondere che forse non conoscono Leskov, il meno romanziere ma il maggior narratore. Leggere i suoi libri è come calarsi in un sogno in cui le parole scorrono più veloci di quanto la nostra mente possa immagazzinare: sa proiettarci  in un attimo in vaste steppe popolate dai tartari, zingare canterine ci deliziano coi loro canti e non mancano i duelli alla frusta; oppure si può soggiornare in salotti variopinti e variegati pieni di saggezza e buon gusto come quello della principessa Varvara capace di commuoverci per il suo semplice essere una brava persona, con pregi e difetti dalla sua, caratteristica che ancora oggi nutre l’animo dello spettatore. 

Chiuderei questa lunga classica parentesi con un saluto dato da Zio Pavel, indimenticabile personaggio di “Padri e figli” di Turgenev. Nobile di campagna, impeccabile nei modi, baffi e completi inglesi, sempre pronto al duello dettato da ragioni d’onore, chi può esser più russo di lui?

Ma la Russia ad un certo punto cambia, eccome se cambia. Non bastano i baldanzosi gran balli a corte e le speranze concesse da un ciarlatano di nome Rasputin a lenire l’inquietudine di un popolo che soccombe da una vita ma ha dalla sua tutti i tratti caratteriali per ribaltare la storia. E allora Rivoluzione sia e con essa gli struggenti racconti che la descrivono. Trovo la rivoluzione e la successiva guerra civile uno dei tratti più tragici, combattuti ed emotivamente inquietanti della storia moderna, ed in letteratura ne traspare tutta la drammaticità, ma essendo i russi un po’ matti c’è perfino chi, come Teffi, ce la racconta come un rocambolesca pellegrinaggio da Mosca ad Odessa con tanto di fughe dai Bolscevichi sgattaiolando da una stanza all’altra di un intricato albergo; ne “La guardia bianca” di Bulgakov invece si risolve inizialmente tra gran bevute e pistole nascoste qua e là finché si comincia a sparare davvero tra le strade di Kiev e di bevute ce ne è sempre meno voglia. Ma è Il dottor Zivago che esprime a pieno cosa sia stata la guerra civile e soprattutto come possano trasformarsi i russi quando la lotta si fa dura. Chi non conosce la storia di Zivago grazie al fortunato film, eppure la grande scena epica (ma guarda, ce ne è una pure qui) non compare su pellicola: il treno lunghissimo parte da Mosca verso la Siberia, a bordo vi sono qualche civile, qualche deportato e molti molti marinai inconfondibili per la loro divisa. Nevica, il convoglio attraversa sconfinate steppe e compaiono all’orizzonte infiniti specchi d’acqua, spesso ghiacciati, e ogni qual volta il treno rallenta in procinto di una stazione rimane solo fuoco e distruzione, e morti, morti ovunque.
È la guerra civile, il fronte è in Siberia, i marinai racimolati sul mare devono rimpinguare le file dell’armata rossa. Ma il treno si ferma, la neve è troppo alta, e i passeggeri scendono, armati di pala, con la neve fino alla vita. Spalano i marinai diretti al fronte; i piccoli nobili come gli Zivago; i delinquenti deportati, e tutti insieme faticano per far avanzare il treno pochi metri alla volta: se non è questo un affresco che descrive il popolo russo. Ma la rivoluzione non sarà solo questo, sarà lo spartito di chi come il principe Feliks Jusopov, Rembrandt e diamanti alla mano, lascerà il paese per scrivere da esule la sua storia di Nobile defraudato di ogni privilegio ma pur sempre immortale quale assassino del grande mago di corte Rasputin; o Anna Achmatova e la sua intensa lirica da esule e Ivan Bunin che all’esilio non si rassegnerà mai completamente. Ma qualcuno rimase seppur resti talvolta in ombra e la rivoluzione l’ha narrata mentre vi partecipava: Babel, il giovane studente idealista ebreo, narrò la sua vicenda aggregato a  uno dei pochi gruppi cosacchi che abbracciarono il fronte Bolscevico senza risparmiare nessuna violenza o crimine commessi in questa guerra fratricida (L’armata a cavallo) o Zazubrin che fu cekista e descrisse senza mezzi termini cosa fu il terrore che seguì gli scontri dando vita a La scheggia uno dei libri più crudi e toccanti che siano capitati sulla mia via, descrizione drammatica della vita di uno “spazzino” di vite che hanno avuto il torto di essere dalla parte sbagliata. 

Sappiamo così tanto della storia Statunitense e così poco della nostra vicina Russia, ci avete mai pensato? Mentre Rossella O’Hara faceva palpitare il cuore del mondo per la vergogna della schiavitù negli stati Confederati si sa così poco di un paese che era ai margini ma pur sempre vicino, forse sarebbe giusto il momento che stiamo vivendo per recuperare e saperne di più, magari proprio attraverso la voce della sua gente che ha fissato per sempre l’animo di un popolo su innumerevoli pagine.

Terminerei questo spaccato di Russia per dilettanti quale io sono sperando con le mie parole di aver inculcato la voglia di far battere il cuore su qualche meravigliosa storia russa ma non dimenticando lo scrittore che più di tutto ha narrato l’onore di un grande popolo che irrigato la terra del proprio sangue per salvare il mondo dal demone Nazista: Vassilij Grossman. Ritengo il suo Vita e destino quanto di più bello e forte e vero sia stato scritto sul grande sacrificio che si è compiuto ad Est per salvare il mondo degno di esser chiamato tale; e scegliendo il giusto umore sarebbe doveroso cimentarsi con “Il libro nero”, cronaca dei crimini perpetuati dai nazisti in terra Russa, Ucraina, Bielorussa visti da chi fu sul campo. Se è vero che il tempo passa ma tutto resta uguale, e non bisogna essere il principe di Salina per affermarlo, sarebbe davvero opportuno “imparare a leggere”, a capire, a scoprire e soprattutto ricordare.

E adesso via in biblioteca ad accaparrarsi un libro russo!

Letteratura russa

Primavera Chimenti


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