Qualche riflessione a partire dal racconto di Charles Dickens “A Christmas Carol"
Scelgo volutamente di non entrare più di tanto nel merito del racconto di Dickens che pure mi ha coinvolto e il cui contenuto non dimenticherò facilmente. Ne prendo invece spunto per una breve riflessione sul rapporto tra la scrittura e il paranormale, tanto per usare un termine generico.
Molti scrittori si sono confrontati con fantasmi e affini, anche artisti grandissimi, come Shakespeare e certo il racconto natalizio di Dickens regge il confronto, se non altro per la potenza teatrale insita nella sua narrazione, che letteralmente ci fa visualizzare gli “spiriti”, nel loro aspetto spaventoso, talvolta grottesco, ma anche meraviglioso per i colori, le luci, le maschere e soprattutto per la loro repentina capacità di metamorfosi, a metà strada tra l’essere e il nulla. Infatti la caratteristica dei tre spiriti che si manifestano al protagonista Scrooge, è di collocarsi in una sorta di limbo, a metà strada tra la vita e l’al di là. Da qui nasce il loro messaggio che spinge Scrooge a redimersi dalla sua aridità, dal suo attaccamento ai più meschini valori terreni, per arrivare, in questo caso, ad amare gli altri e il senso del dare.
Molti altri fantasmi si incontrano nella letteratura di tutti i tempi, talvolta fasulli e burleschi, altre volte reali per un breve momento, o reali con una continuità che addirittura, come in Isabelle Allende, arriva a intrecciarsi con gli eventi più drammatici della storia di un paese come il Cile del golpe ne La casa degli spiriti.
Al di là di manifestazioni più immediate e popolari della dimensione ultraterrena, molti scrittori, anche contemporanei, si misurano con una dimensione spirituale che non entra in conflitto con la razionalità ma, in un certo senso, la completa e la arricchisce. Vedrei in questo una vocazione della letteratura che aspira ad andare al di là dell’apparenza per cogliere il senso delle cose, in una continua tensione tra il narrare l’esistenza concreta e fattuale e tenere continuamente presente la dimensione della morte, della perdita, della scomparsa. È d’altra parte innegabile che proprio la capacità di non perdere di vista il morire che arricchisce l’esistenza e ne fa cogliere l’autenticità.
In fondo la letteratura è un’esperienza estrema che cammina sul filo teso tra immortalità e mortalità. Ed è l’immaginazione la vera misura della spinta a varcare il confine invisibile, come a volte accade nelle atmosfere suggestive e nebulose di “Christmas Carol”, quando l’uomo e lo spettro camminano fianco a fianco e attraversano il tempo e lo spazio. A volte con brusche capovolte, altre seguendo una specie di filo logico e cronologico, ancora più inquietante perché alieno dal cosiddetto mondo reale.
E cosa facciamo noi, piccoli scrittori di Ala, se non attraversare quegli stessi confini e spazi apparenti? Almeno molti di noi lo fanno, io per prima, e osiamo invadere il territorio della metafisica anche quando abbiamo l’aria innocente di seguire un filone autobiografico. Ovviamente la letteratura, un po’ come la filosofia, non vuole e non può dare risposte su ciò che costituisce il cosiddetto ignoto, ma, esattamente come la filosofia, può porre domande o, ancor meglio, fare brevi incursioni e descrivere brevi illuminazioni, come quando in un bosco fitto ci sorprende una radura.
Naturalmente è un terreno scivoloso, che presenta i suoi rischi. Si può cadere nel ridicolo, o farsi catturare dall’immaginazione rimanendone prigionieri, invece di guidarla verso uno spazio aperto. Un rischio a cui Dickens è sfuggito egregiamente, nonostante la sua immaginazione si sia spinta molto oltre sul terreno del paranormale, come avrà modo di verificare chi avrà voglia di leggere o rileggere il suo racconto. Forse lo salva proprio quella dimensione morale, un po’ ingenua e ottocentesca, certamente di stampo cattolico, che fanno sì che il protagonista abbracci il bene grazie agli insegnamenti degli spiriti.
Sarebbe bello discutere di queste cose, magari organizzando seminari a tema e momenti di incontro.
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