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Studio “matto e disperatissimo”

#PABlog Tema 9: Parliamo di Scuola

Tutte le foto sono di Cristina Quartarone.
Nell’ordine, un gelsomino notturno, una pianta di acanto e il viburno

“Vuoi sapere qual è la mia malattia? Non riesco a saziarmi di libri, 
e forse ne ho più di quanto occorre… Senonché, essi dilettano sino al midollo,
discorrono con noi, ci consigliano, e a noi si congiungono in una specie di viva
e geniale familiarità”
(Francesco Petrarca, a Giovanni Dell’Incisa, Familiares III,18)

Ho sempre amato lo studio e, di conseguenza, la scuola, sia da allieva del liceo Classico “Niccolini-Guerrazzi” di Livorno, delle facoltà di Lettere Classiche e di Storia dell’Ateneo Pisano, della Scuola di Teologia del Seminario di Livorno, sia da insegnante di Materie letterarie e Latino. Studio e scuola, un binomio inscindibile. 

Lo studio stesso è una scuola, se basato su curiosità e umiltà, continue scoperte, metodo, gioia di imparare, di trasmettere ad altri e di apprendere da loro e da tutti, perché ognuno possiede un suo meraviglioso tesoro di “sapere” e “saper fare” da condividere.

E a un certo punto si capisce che lo studio è il vero senso della vita.

“Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza”, dice Ulisse per spronare i compagni, già vecchi e stanchi, a imbarcarsi di nuovo e a sfidare l’ignoto, veleggiando oltre le colonne d’Ercole, nel XXVI canto dell’Inferno dantesco. “Coraggio di vivere secondo l’etica e conoscenza”.

Conciliare lo studio con tutte le responsabilità della vita (essere cittadina, figlia, sorella, parente, moglie, madre, amica, insegnante, (tutto quello che Daniel Pennac definisce “il dovere di vivere”) è una difficile sfida quotidiana.
Eppure, si trova il tempo di studiare, se pensiamo che questa attività sia anche un dovere etico e lasciamo la porta della mente sempre aperta.

Fin da ragazza studiavo con vivo interesse. Gli appunti presi in classe e i compiti da svolgere ogni giorno erano, per me, solo un punto di partenza per approfondire i vari argomenti. 

Mi sedevo alla scrivania alle 15,00, in mezzo a pile di libri, dizionari, enciclopedie, testi presi in prestito alla Biblioteca Labronica. Arrivata alle 19,00, alzavo il naso dai vari volumi e, guardando fuori della finestra, dicevo ad alta voce: “Ma come, è di già sera?!”, una frase quasi rituale. E correvo per raggiungere le mie amiche in via Ricasoli e “fare le vasche”, come si dice da noi.
Ma dopo cena continuavo, dalle 9,30 almeno fino a mezzanotte, l’una, le due, a volte di più, perché quando ci si concentra molto, il tempo sembra dilatarsi e se ne perde la cognizione, la mente è in piena attività e non si stanca, tutt’altro!

Nel silenzio della notte, mentre la casa ovattava il sonno degli altri abitanti di essa, ignari di ciò che stava accadendo, vita e letteratura si mescolavano, creavano una strana, sognante realtà fra varie dimensioni, che ogni anno, con il progredire degli studi, si modificava e impreziosiva, come prima mai avrei immaginato!   

Scoprii che la bella natura cantata da Virgilio e dal Pascoli e da tanti altri poeti, era li, vicino, oltre la finestra, nel mio giardino! Nell’angolo più in ombra, le belle e lucide foglie dell’acanto, che in estate produce una bella spiga alta, di colore violetto, uno dei primi piccoli doni spontanei che la terra offre al fanciullo che porterà l’età dell’oro, nella IV Egloga di Virgilio.

Proprio quelle dei capitelli corinzi e dell’Ara Pacis!

Sotto la finestra, i “lenta viburna”, cari al poeta latino, cioè i viburni flessibili, che quando si piegano ci mettono alcuni istanti per drizzarsi, producevano quei bellissimi fiori bianchi che avevo visto da sempre e di cui prima ignoravo il nome, e il gelsomino notturno, amato dal poeta romagnolo, molto comune nei giardini, all’epoca, schiudeva i suoi eleganti calici rossi, diffondendo un dolce odore di fragole. 
Fra i versi degli uccelli notturni, nascosti sugli alberi, spiccava quello nitido e lamentoso del chiù che racchiudeva tutto il dolore del mondo. A intervalli regolari, con angosciose pause. Come “un singulto”, dice il Pascoli.  

E la “graziosa luna” di Leopardi sembrava seguirmi dall’alto, spesso illuminando gentilmente il davanzale ma, come afferma il “pastore errante dell’Asia”, senza rispondere alle domande esistenziali. Perché quelle risposte sono già dentro di noi, questo voleva dirmi la luce della luna: “Illùminati! Devi fare chiarezza dentro di te”.

I due alberi del giardino, un arancio e un fico, erano, come dice Baudelaire, “pilastri viventi che lasciano sfuggire confuse parole”, quando il vento ne scuoteva le fronde.

Nel salotto si creavano spazi magici, la lampada da tavolo disegnava strani giochi di luce, coni e stelle, in cui gli antichi eroi della mitologia e gli scrittori del passato tornavano a vivere, proprio come racconta Machiavelli nella lettera al Vettori, che lessi e rilessi con piacere in seconda liceo e con la quale mi sentii subito in consonanza. 

Lo scrittore fiorentino, in esilio all’Albergaccio di San Casciano, dismessa la veste “piena di fango e di loto” con cui andava all’osteria per giocare a “cricca” e vestito “condecentemente” di abiti “regali e curiali”, di notte entrava idealmente “nelle antique corti degli antiqui uomini” e dialogava con loro.

Io non mi cambiavo d’abito, ma, comunque, non studiavo mai in pigiama, o con un vestito da casa e dopo aver letto il testo di Machiavelli capii perché: era come se aspettassi ospiti, solo miei, ogni sera, per questo le ore della notte le dedicavo sempre alla letteratura!

Usando una celebre frase di Leopardi, il mio era, è sempre stato ed è uno “studio matto e disperatissimo”, frase che, per me, significa che studiando non si ha mai la speranza di sapere tutto, ma solo la lucida consapevolezza di Socrate, per cui il vero sapere è sapere di non sapere. Proprio questa certezza, il non sapere, ci spinge infatti a ricercare, approfondire, accettare il dubbio, vagliare le ipotesi, confrontare le teorie, esprimere giudizi, mutare opinione, dialogare con tutti, non discriminare, agire secondo coscienza, interessarsi al mistero.

Cristina Quartarone

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