#PABlog Tema Tema 9 Parliamo di Scuola
Se un intervistatore interessato per un qualsiasi motivo alla scuola italiana, mi chiedesse: «Qual è il segreto per diventare un buon insegnante?».
Io, con una malcelata dose di humor inglese, forse risponderei: «Fare in modo da diventare trasparente».
Quindi, per rispondere allo sguardo meravigliato del mio interlocutore aggiungerei: «Vede, è lo studente, la figura principale del processo educativo e i compagni sono i co-protagonisti nella condivisione e nella negoziazione delle competenze e delle conoscenze. Gli insegnanti hanno un ruolo essenziale fin all’inizio del processo ma, come il Cheshire Cat di Alice, o se preferisce, come lo Stregatto, dovrebbero farsi sempre più trasparenti, fino a svanire e lasciare il loro sorriso a illuminare le regole comportamentali e sociali da seguire. Dopo aver instaurato un clima relazionale e operativo, cioè, dovrebbero assumere un ruolo di coordinamento e di guida, non quello di narratori o espositori o peggio depositari del sapere. Il loro sorriso luminoso avrà efficacia se sarà volto alla costruzione e non alla riproduzione della conoscenza».
A questo punto il fantomatico intervistatore, guardandomi fisso negli occhi mi chiederebbe: «Ma… concretamente, che cosa deve fare un insegnante per fare della scuola un luogo adatto alle esigenze dei nostri giovani?».
«Concretamente, – risponderei – per prima cosa occorre mettere gli studenti in relazione fra loro, perché essi imparino collaborando, condividendo le loro esperienze di apprendimento. Solo attraverso l’interazione ci può essere un vero processo di soggettivazione».
Gli occhi dell’intervistatore si farebbero sottili, e aggiungerebbe: «Cioè?».
«Cioè, non dobbiamo raccontare loro come stanno le cose ma farglielo scoprire, facendoli lavorare insieme, ognuno col proprio ritmo. Dovremmo mettere in gioco ogni possibile strumento che favorisca la comunicazione, lo scambio di opinioni, che coinvolga le strutture reticolari e complesse dei processi cognitivi e che incrementi anche il loro coinvolgimento emotivo».
L’intervistatore avrebbe un pensiero malizioso: «Tu mi sciorini grossi concetti, ma io ti riporto a terra e, certo di mettermi con le spalle al muro, aggiungerebbe: «Mi faccia un esempio pratico».
Ed io, senza battere ciglio, risponderei: «La didattica collaborativa, metodo con il quale le conoscenze e le competenze di ognuno possono essere messe alla prova, gli obiettivi verificati, le risorse condivise».
«Tutto qui? La collaborazione?», chiederebbe inclinando la testa.
«Le sembra poco? La collaborazione in presenza e a distanza in rete può diventare il metodo per costruire una comunità di studenti e formatori e consegnare il processo di apprendimento alla sua vera dimensione, che è quella sociale».
A questo punto gli occhi del mio il mio interlocutore si farebbero più espressivi: «Belle parole… – direbbe – ma occorrerebbero… computer su ogni banco, sistemi di comunicazione efficienti e veloci, personale qualificato…»
«Certo, – risponderei – i principi della didattica collaborativa sono basati sulla comunicazione, l’elaborazione, la riflessione, l’iniziativa personale e la creatività».
«Ho capito… la scuola sarebbe più vicina al mondo reale, dove tutto di solito si svolge a livello sociale e collaborativo ma… a scuola c’è il problema della valutazione, – sentenzierebbe il mio intervistatore, certo di aver trovato il punto debole della mia proposta, – chi valuterebbe i processi di apprendimento e gli obiettivi raggiunti?».
Ed io: «La soluzione sta nella documentazione. Se il processo educativo dell’alunno fosse illustrato da una precisa e visibile documentazione delle esperienze e delle competenze conseguite, la valutazione finale si risolverebbe in una certificazione semplice e automatica. La documentazione è il nucleo irrinunciabile di ogni livello, di ogni momento dell’apprendimento».
«Bellissimo, – direbbe il mio interlocutore, – ma… la scuola è pronta per tutto questo?».
Eccola là. Crudele, implacabile, la vera domanda che potrebbe mettermi con le spalle al muro. La scuola è pronta?
«Che intende con la parola “Scuola”? – risponderei – Il Ministero? I dirigenti? Gli insegnanti? Gli alunni? I genitori? Come si fa a dire la Scuola è o non è pronta a operare in modo coerente, efficiente, per rispondere ai dettami del costruttivismo e fare della comunicazione e della collaborazione il centro della didattica; a rendere ogni istituto non più cittadella del sapere ma un centro servizi aggiornato e aperto?
Non so se la Scuola è pronta, ma lo sono migliaia di insegnanti. E milioni di studenti sono in sintonia con questo tipo di didattica».
«Quindi molti insegnanti sono pronti secondo lei?», sarebbe la sua nota con accento beffardo.
«Molti insegnanti e dirigenti non solo sono pronti, ma sono in azione e sono disponibili a rappresentare un esempio per colleghi che ancora vivono la scuola secondo principi superati».
A questo punto il mio intervistatore aggiungerebbe la sua battuta finale: «E… l’insegnante… in tutto questo processo, secondo lei… dovrebbe diventare addirittura trasparente?».
«Certo, – risponderei – trasparente, come l’aria che respiriamo».
La foto è di John Schnobrich
Sii il primo a commentare