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Viaggio a Pompei con la guida di Alberto Angela

#PABlog Tema 4Viaggiare

Ma non vale! Quello è un viaggio virtuale! Sì, ma me ne ha richiamati alla mente almeno una decina, con la stessa destinazione, fatti negli anni, sotto la guida di esperti archeologi o con l’indegna guida di me stessa che portavo a spasso tra le vie della città più bella del mondo alunni, amici o il povero marito che doveva mostrare l’attenzione di un’intera classe senza potersi distrarre un minuto, essendo, come diceva lui, l’unico studente sotto gli occhi dell’implacabile insegnante. Implacabile, sì, ed esigente perché consapevole che vedere il più possibile di quel mondo incantato sarebbe stato un bene prezioso e inalienabile per tutta la vita.

Andiamo in ordine. La città più bella del mondo, anche della stessa Roma, anche della mia amatissima Firenze, anche delle grandi capitali visitate o viste online, perché vera, incontaminata… se non dal “formidabil monte sterminator Vesevo”[1].

Una città morta potrebbe dire qualcuno, per questo “perfetta”, no, una città viva proprio perché è rimasta sospesa e intatta e quindi in grado di evocare pienamente la vita che vi si stava svolgendo quando è stata bloccata, con la forza e l’inequivocabilità che le città attuali in movimento non sanno trasmettere con altrettanta evidenza perché travolte dalla inesorabile mutazione che opera il tempo.

Chi ha seguito il servizio di Angela avrà certamente notato che spesso ripeteva che Pompei offre alternativamente una carezza e uno schiaffo: una carezza perché mostra cose bellissime, uno schiaffo perché ricorda quanto dolore devono aver accolto quelle mura rimaste intatte per testimoniare la vita perduta. È una lettura che mi ha lasciata sconcertata: mai, passeggiando per via dell’Abbondanza o per un vicoletto nascosto, intorno al fauno danzante in mezzo all’impluvium, sui gradini dell’Odeion, nel foro o nel lupanare, ma neppure di fronte ai calchi dei pompeiani rimasti intrappolati nel materiale piroclastico, colti in pose che neanche i più disperati espressionisti avrebbero saputo immaginare, mai ho avvertito dolore. Certo umana compassione per quelle vite ingannate dalla natura prospera e amena del luogo, rivelatosi alla fine una trappola mortale, ma non dolore. 
Al contrario ho sempre captato la presenza e la vivacità di un popolo che vuole essere conosciuto, amato e preso d’esempio. Di che cosa? Intanto della voglia di vivere nel bello, nelle comodità consentite dal grado di sviluppo tecnologico del tempo (più alto di quanto si possa presuntuosamente pensare), nel divertimento e nella sana convivenza multietnica. Non sfugge certamente a chi visita Pompei la raffinatezza di certe domus, con le loro decorazioni parietali eleganti, i pavimenti musivi strabilianti, i peristili ricchi di piante e fontane, e la sontuosità delle opere pubbliche come il foro, la basilica, i templi; acqua corrente per le vie e nelle domus, almeno dei pompeiani più ricchi, popinae e cauponae (insomma osterie) per tutte le tasche, terme, latrine pubbliche, palestre; luoghi di intrattenimento, dall’anfiteatro al teatro e all’odeion per gli spettacoli dei mimi e le esibizioni musicali; le etnie a Pompei (come nel mondo romano in genere) convivevano in modo paritetico se pari era il censo, perché la discriminazione esisteva, eccome, ma tra ceti socio-economici diversi, non tra soggetti di diversa lingua o colore o orientamento sessuale.
Ma i pompeiani, io credo, vogliono essere d’esempio anche di ciò che non hanno avuto e hanno imparato a loro spese: la volontà di leggere i segni premonitori della natura che si stava ribellando e la capacità di rinunciare al proprio interesse immediato per salvare la loro vita e dei loro figli. L’eruzione immane del Vesuvio era stata in qualche modo anticipata, anche se nessuno pensava che sarebbe stata di quelle proporzioni, dal terremoto di pochi anni prima e da altri fenomeni inquietanti, ma nessuno aveva abbandonato per prudenza una vita comoda e agiata.

Oggi, in un mondo che sta rischiando la catastrofe per lo sfruttamento dissennato delle risorse ambientali e per l’avidità di guadagni, piccoli e grandi, non capire che potremmo diventare tutti pompeiani è come lasciare che quei nostri antenati siano morti invano.

[1] G. Leopardi, La ginestra, o il fiore del deserto, vv. 2-3, 1836

La foto di copertina è di proprietà dell’autrice

Anna Maria Citi


Pubblicato inBlogPronti attenti blog

2 commenti

  1. Manolia Gregori Manolia Gregori

    Complimenti! Un articolo davvero coinvolgente. Mi ha colpito molto il finale. Non voler vedere non voler capire, non fare sono orribili costanti di una cialtrone e ottusa umanità.

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